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Il labirinto, metafora della vita con la morte al centro, è il fulcro tematico di questo romanzo bello e spinoso come una rosa, nel quale ogni illusione è destinata a cadere. Non troveremo Arianna con il suo filo salvifico, domina invece il clima asfissiante di una provincia che imprigiona con i suoi riti conformisti, il pettegolezzo e la pruderìe, sottoprodotto e surrogato della felicità. Siamo a Novara. Renzo Stefano Crivelli entra nei meandri del non senso, attraverso le vicende di un uomo senza nome, prima bancario e marito coatto, quindi caporedattore di una rivista settimanale, a cui arriva con un'operazione omertosa, in pratica accettando di tacere riguardo a uno scandalo di furti archeologici. L'avanzamento di carriera con i metodi imposti dal potere dominante, sempre occulto e come tale intoccabile, pone il giornalista al centro di un piccolo potere da gestire con i compromessi di sempre. Accanto a ciò, il fermento profondo nella sua anima, che esige verità e libertà. La contraddizione fra la maschera sociale e le idealità così vive nell'adolescenza, quando il liceale si innamorava di Omero, costituisce il fascino doloroso del libro. Il mondo sognato ricompare in modo incessante ed ossessivo, Ulisse & company nella sua mente si sovrappongono ai personaggi della commedia umana quotidiana. Un labirinto di siepi si trova realmente incastonato nella vicenda, ed è lì che il protagonista si avventura, convinto di poter entrare e uscire dal dedalo tramite un algoritmo geniale scoperto da Trémaux, studioso ottocentesco di labirinti. Il labirinto-metafora è la ricchezza e la sua gestione, ma qui l'uomo non entrerà. Godrà il profumo di una donna alto borghese, solo per poco. La sua storia avrà un epilogo crudele. La provincia seguiterà a condurre la sua non vita, mentre nella nazione gli attentati politici insanguinano l'anno 1975. Proprio la sconfitta suscita nel lettore aneliti di riscatto, nuove utopie e il ritrovamento di eterne mitologie da incarnare.
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