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I re nudi. Congiure, assassini, tracolli ed altri imprevisti nella storia del potere
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1996
1 gennaio 1996
228 p., ill.
9788879886017

Voce della critica


recensione di Gandino, G., L'Indice 1997, n. 5

Ad alcuni mesi dalla morte del conte Amedeo VI di Savoia, e dopo che le sue ossa, separate dalla carne, sono state inumate, nel giugno del 1383 si svolge nell'abbazia di famiglia di Altacomba una complessa cerimonia funebre che assume la forma di una solenne parata militare e cavalleresca. Sono infatti presentati, in una sequenza attentamente ordinata, gli stendardi con le immagini della Vergine e dei santi Giorgio e Maurizio, le insegne del potere e quelle di guerra del defunto, gli oggetti da lui usati in tornei e giostre.Quattro cavalieri vestiti di nero chiudono la parata.Il rituale ha il suo momento di forza nell'esibizione di due spade: la prima, tenuta dall'impugnatura, rappresenta il potere comitale, che sopravvive all'esistenza di chi lo detiene; la seconda, tenuta dalla punta in segno di morte, è la spada personale del defunto che - come il suo elmo e lo scudo, ma diversamente dalla prima spada - è offerta alla chiesa.
Nel periodo in cui, lo ha mostrato Ernst H. Kantorowicz, si va precisando nella riflessione dei giuristi l'idea di una doppia natura, mortale e immortale, nella persona del re, per i conti di Savoia si delinea, secondo Nadia Pollini ("La morte dei conti e duchi di Savoia fra Tre e Quattrocento. Discontinuità naturale e continuità dinastica"), un'analoga tendenza alla distinzione tra corpo naturale e corpo politico del principe, distinzione che la simbologia delle spade traduce visivamente: anche per i poteri derivati dalla regalità, ma che tendono a rappresentarsi come autogeni, la morte è il punto di minor resistenza al disvelamento del carattere effimero della potenza terrena, e quindi il punto di condensazione di quanto può servire a prolungare questa potenza nel tempo, agganciandola alla continuità sovraindividuale della dinastia.
Connotata dall'assenza-rimozione del corpo di Amedeo VI, la scena della cerimonia funebre sabauda ha il suo contrappunto ideale nell'immagine di papa Innocenzo IV, che il cronista francescano Salimbene descrive abbandonato nudo sulla paglia "secondo la consuetudine dei Romani pontefici, quando muoiono". Nudità e consuetudine: intorno a questi due poli si articola il saggio di Agostino Paravicini Bagliani ("Rileggendo i testi sulla "nudità del papa"").La nudità, velata da un bianco camice, serve a rendere visivamente un concetto connaturato alla peculiare natura del papato: morendo, il papa perde la "potestas" e torna a essere semplicemente un uomo. Sul rituale, che ha le sue radici nel secolo XI e nella riforma ecclesiastica, le testimonianze si infittiscono nel Duecento: mentre infatti si perfeziona l'idea del papa come Cristo in terra, diviene necessaria una sempre più netta distinzione tra papa-uomo e papa-"vicarius Christi". I pontefici romani - nelle parole che Niccolò III scrive al momento della sua elezione nel 1277 - muoiono, ma "l'ufficio del vicariato, immortale, rimane perpetuo".
Il potere quasi regale dei Savoia e quello dei papi sono colti in questi due saggi in circostanze di nudità altamente formalizzate, che riti e simboli tendono a rivestire dei panni curiali della rappresentazione ideologica. Tra gli altri, alcuni contributi di questo eterogeneo volume percorrono una strada diversa: quella di scegliere la nudità che il potere mostra nel momento in cui gli uomini che lo detengono sono travolti dalla disgrazia, dal fatto imprevisto, dall'avvenimento inatteso.E alcune vicende sono a tal punto segnate dallo scarto da divenire in qualche modo paradigmatiche della discontinuità del reale (Glauco M. Cantarella, "Historia non facit saltus? Gli imprevisti normanni"; Franco Cardini, "L'imperatore annegato ed altri principeschi incidenti in Terra santa"; Riccardo Fubini, "Congiure e Stato nel secolo XV"). Un interessante rovesciamento di prospettiva è poi nel saggio di Maria Giuseppina Muzzarelli ("Fedeltà e infedeltà al principe. Il caso degli ebrei a Ferrara al tempo della devoluzione"), che guarda alle paure e alle incertezze e ai turbamenti di chi, come gli ebrei, dalle "sconnessioni del potere" era lasciato davvero nudo.

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