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Libro presentato da Tiziano Scarpa nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2024.Un romanzo raro, comico e malinconico, di cui ci si può innamorare come di una persona.
Quello che hai tra le mani è un piccolo romanzo luminoso che ti farà ridere e commuovere. E scoprire con che passo la malinconia e la comicità possano andare a braccetto. Un po' come capita nell'amore, ti sembrerà, leggendolo, di guardarti allo specchio, di riconoscere le tue paure e i tuoi desideri, di vedere il tuo passato, presente e futuro. Perché quei ragazzi di sessant'anni che leggono senza occhiali e vanno in scooter anche d'inverno, che la sera vorrebbero bersi un prosecco con gli amici anche se «a un certo punto della vita gli aperitivi tendono a diradare», che hanno mogli e figli capaci di spiazzarli, idee vive sotto la pelle e un'energia testarda con cui prendere di petto l'esistenza, siamo noi. I ragazzi di sessant'anni sono i protagonisti, anzi il protagonista di questo romanzo, dato che nel libro «I ragazzi di sessant'anni» è un nome proprio, quello del marito di Stefania: un plurale singolare di grande potenza simbolica. I ragazzi di sessant'anni hanno una moglie, due figli, un buon lavoro e sempre meno amici. Hanno vecchi, inquieti amori che non smettono di parlargli in testa. Vestono marchi per giovani, si tengono in forma con una palestrina casalinga e litigano con i ragazzi di ottant'anni, che non mollano e «scartavetrano e martellano e raschiano e grattano e scrostano e trapanano e stuccano». Piú che la morte, temono, forse, i ragazzi di quattordici anni e la loro pazza elettricità. Intorno la città è cambiata, il mondo è cambiato, ma i ragazzi di sessant'anni continuano a essere ostinatamente se stessi. Non sono né depressi né inossidabili: sorridono. Hanno desideri, e paure. E un vicino di casa insopportabile che un po' li intenerisce un po' li infiamma. Insieme alla loro, seguiamo le vite di altri: ragazzine che vagano nella notte rischiando di perdersi per sempre, donne che sembrano destinate al fallimento e invece si rivelano grandi imprenditrici, notai che hanno compiuto un passo falso – tutti vicini e lontanissimi nella luce radente del tempo.
Proposto da Tiziano Scarpa al Premio Strega 2024 con la seguente motivazione: «Che cos’ha di speciale, “I ragazzi di sessant’anni” di Romolo Bugaro? È un libro che mette insieme le qualità migliori della tradizione romanzesca. Da un lato, la leggibilità. Dall’altro, la sperimentazione. Quest’ultima è praticata con un espediente semplice e geniale. Il protagonista è un uomo che non viene mai chiamato con nome e cognome, ma con la dicitura “i ragazzi di sessant’anni”. Di conseguenza, anche i verbi che lo riguardano sono in terza persona plurale. Così sembra che ad agire sia una categoria sociologica, una fascia d’età. E infatti, il libro comincia quasi come un saggio o un articolo di costume: descrive come si comportano in generale “i ragazzi di sessant’anni”. Ma poi il racconto si focalizza su un unico personaggio. [...] Attorno ai ragazzi di sessant’anni prende forma una costellazione umana che restituisce il senso di una vita intera, nella fase in cui essa guarda in faccia la propria fine. Fra i romanzi che ho letto in questa annata letteraria, “I ragazzi di sessant’anni” è il più originale e toccante.»
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Libriccino banale, che mi sono sforzato di leggere fino in fondo.
Un libro raro… pochi ne ho letti che hanno questa forza incredibile, che riescono a catapultarti in una realtà tangibile pervasa da nostalgia di un passato al quale si è ancorati con una tenacia silente mentre si abita coraggiosamente il presente. Finale aperto, dove in poche pagine Bugaro riesce a condensare quel misto di terrore e “ottimismo” che appartiene a chi deve ricevere una sentenza clinica. Bellissimo l’uso della terza persona plurale che diventa in realtà un “io” collettivo. Preso su suggerimento di Diego de Silva, lo consiglio vivamente soprattutto per quel disincanto che ci accomuna un po’ tutti, specialmente quando si passano gli ‘anta e parte del viaggio è compiuto. Chapeau!
Un disincanto che, tuttavia, per come il libro è scritto, si avvicina di più alla nostalgia che al pessimismo. Finale aperto. Senz'altro da leggere.
Recensioni
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