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Quale libertà. Dizionario minimo contro i falsi liberali - copertina
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Descrizione


Il volume raccoglie i seguenti saggi: "La libertà e i diritti di libertà" di Michelangelo Bovero, "Libertà personale" di Stefano Rodotà, "Libertà di pensiero" di Alessandro Pizzorusso, "Libertà di religione" di Ermanno Vitale, "Libertà di insegnamento" di Marcello Vigli, "Libertà di informazione" di Alfonso Di Giovine, "Libertà di riunione e di associazione" di Valentina Pazé, "Libertà di circolazione" di Luigi Ferrajoli.
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Dettagli

2004
22 gennaio 2004
XI-208 p., Brossura
9788842068495

Voce della critica

Già dal titolo, saremmo giunti a un punto in cui il senso di "libertà" pare essersi smarrito, un punto in cui i (nostri) diritti di libertà sono in serio pericolo: lo smarrimento concettuale, non di rado artato, è infatti un preludio infausto per cose che, come i diritti, sono fatte di parole. Un punto in cui i (nostri) valori più sacri sono subdolamente minacciati: poiché non vi sono soltanto i "nemici esterni", che taluni di noi scorgono nelle piane al di là delle alte mura, e di cui subiamo talora le mortifere incursioni nelle nostre capitali; vi sono anche, assai più temibili e funesti, dei "nemici interni", i gretti oscurantisti di sempre, sovente travestiti da falsi liberali.

Nel saggio introduttivo di Michelangelo Bovero vengono calate le reti concettuali di cui il lettore potrà servirsi per valutare da sé qualsivoglia perorazione della libertà venga sottoposta alla sua attenzione di elettore (scambiato talora per un mansueto quadrupede ungulato), di cittadino e di agente morale libero e responsabile. Si deve, anzitutto, essere consapevoli della carica emotiva che accompagna gli usi di "libertà", separandone i significati "persuasivi" da quelli "descrittivi". Occorre, poi, saper distinguere le teorie della libertà dalle "retoriche della libertà", affabulazioni propagandistiche prive di contenuto; la "libertà" dal "potere"; la libertà "di fatto" (ad esempio: la "libertà" del lupo di azzannare l'agnello) dalla libertà "di diritto", necessariamente costituita da un tessuto di regole, procedure, e garanzie (ad esempio: la "libertà" dell'agnello di non essere azzannato dal lupo); la libertà "negativa" dalla libertà "positiva". Bisogna infine saper identificare i molteplici "nemici" della libertà, individuando nelle loro schiere i fautori dei "poteri selvaggi", che coniugano la più sfrenata libertà (di fatto) nei mercati (come libertà dalla concorrenza regolata), con la tristemente nota dottrina della "sicurezza nazionale", riverniciata da guerra globale, perpetua e preventiva contro "il" terrorismo che minaccia l'Occidente - nero contraltare della kantiana pace perpetua, sul quale si vuole consumare lo stato di diritto.

Nella prima delle voci che seguono Stefano Rodotà enfatizza come la libertà personale sia la "prima libertà", poiché offre protezione giuridica al corpo degli individui, quale "luogo" la cui inviolabilità costituisce il presupposto per il godimento di tutte le altre libertà e di tutti gli altri diritti. L'ambito protetto dalla libertà personale è dunque una variabile dipendente della nozione di "corpo". Ma se ci poniamo nella prospettiva del diritto (prodigiosa macchina di sortilegi pratici), ciascun individuo possiede una molteplicità di corpi distinti, dimodoché la tutela della libertà personale assume contorni pluridimensionali e ramificazioni sorprendentemente estese. Anzitutto, vi è il corpo quale unità organica, fisica e psichica, protetto dalla forma più risalente di diritto alla libertà personale, scolpito nel latino bastardo della Magna Charta (1215). Vi è poi il corpo quale "unità" fisica (e psichica) "funzionale", che persiste come bene giuridico al di là della dispersione di sue parti (organi) e prodotti (sangue, ovuli, seme). Vi è, inoltre, il corpo quale complesso di beni (reni, sangue, cornee, ecc.) e di funzioni (maternità sostitutiva) appetiti dal mercato. Vi è, ancora, il "corpo elettronico", disperso nelle plurime sfaccettature che compongono l'identità degli individui, che sono captate dalle innumerevoli banche-dati che rappresentano i pilastri "di una società della sorveglianza e della classificazione in cui scompare la speranza del rispetto delle libertà e della dignità della persona". Vi sono, infine, come degenerazioni del corpo elettronico, il corpo quale "password", il corpo quale "protesi estrema del sistema informativo globale", il corpo profanato da microchips sottocutanei, ridotto a un "oggetto in movimento, controllabile a distanza con una tecnologia satellitare". I nemici - vecchi e nuovi - della libertà personale, così intesa, sono legioni. Tra questi, Rodotà menziona i novissimi fautori della tortura e dello stato d'emergenza perenne, oltre alle indefesse prefiche dal mercato facile.

Alessandro Pizzorusso precisa che la "libertà di pensiero" o "libertà di opinione" costituisce il nucleo di un articolato insieme di diritti individuali interconnessi, nel quale occorre distinguere la "libertà di pensiero" genericamente intesa, che include la "libertà di coscienza" (la "facoltà di concepire convincimenti personali, anche anticonformisti, all'interno della propria sfera privata") e la "libertà di espressione", di cui Pizzorusso rivendica la "funzione sociale" di condizione necessaria del pluralismo delle idee, e del loro libero confronto, che costituisce a sua volta la linfa di processi decisionali collettivi genuinamente democratici; le "specificazioni" della libertà di pensiero in particolari ambiti di esperienza, tra cui Pizzorusso include la libertà religiosa, a sua volta scomponibile in una molteplicità di diritti soggettivi, la libertà di opinione politica, la libertà sindacale, la libertà delle arti e delle scienze, la libertà d'insegnamento, la libertà di cronaca e di critica; i diritti e le libertà "strumentali" all'effettiva garanzia e godimento della libertà di pensiero, tra cui figurano la libertà di riunione, la libertà "di organizzare spettacoli e manifestazioni", la libertà della scuola, la libertà della stampa e la libertà di antenna.

Ermanno Vitale perora l'esigenza di concepire il diritto alla libertà religiosa come dotato di una duplice dimensione: "negativa" e "positiva". Da un lato, il diritto degli individui a essere liberi dalla religione di stato e, in genere, da ogni (indebita) interferenza nella sfera dei loro comportamenti orientati a una religione (culto, professione, proselitismo, ecc.), ovvero di rifiuto di, o distanza da, qualsivoglia religione (ateismo, agnosticismo). Dall'altro, una dimensione positiva, cioè il diritto a esigere dallo stato una serie di prestazioni, da effettuarsi principalmente attraverso i canali della pubblica istruzione, volte ad assicurare all'individuo l'effettiva libertà di scegliere se, e in cosa, credere, al riparo da condizionamenti.

La libertà d'insegnamento - nel duplice profilo di autonomia didattica e di libertà di espressione del docente - viene configurata da Marcello Vigli, secondo i principi del liberalismo, come un mezzo essenziale per la formazione di individui capaci di apprendere e di compiere, con consapevolezza e autonomia, le scelte inevitabili attinenti alla loro esistenza, in tutte le sue dimensioni (educativa, etica, politica, religiosa, ecc.). Da ciò, l'autore trae due conseguenze: da un lato, l'esigenza di un sistema d'istruzione pubblico, quale contesto istituzionale nel quale la libertà d'insegnamento e la libertà di apprendimento sono efficacemente esercitate e protette; dall'altro, cosa che può suonare provocatoria agli anti-liberali, l'esigenza di un controllo dello stato liberal-democratico sulle scuole private, volto, quantomeno, a garantire anche in esse un livello accettabile di libertà d'insegnamento (e di libero apprendimento). Tra gli antagonisti della libertà liberale d'insegnamento, Vigli identifica il "familismo", che eleva la famiglia da strumento, accanto ad altri, al servizio della formazione di individui autonomi e responsabili, a società chiusa e (nel migliore dei casi) paternalistica, come valore in sé; il "multiculturalismo" relativistico, che abbandona i minori alla mercé della "loro" cultura e delle "loro" tradizioni, abdicando all'idea che essi debbano avere il diritto di scegliere, con piena autonomia, a quale cultura appartenere; i fondamentalismi religiosi, alleati naturali del multiculturalismo relativistico; l'aziendalismo, che degrada le scuole a produttrici di servizi nel "mercato" della formazione, negando alla radice la funzione sociale e civile dell'istruzione.

Della libertà d'informazione si occupa Alfonso Di Giovine, la cui analisi approda a risultati, alcuni dei quali forse risaputi, ma non meno inquietanti. La libertà d'informazione - intesa quale diritto a fruire di informazioni esaustive e veritiere, in un contesto di genuina pluralità delle fonti (assicurato da un'effettiva concorrenza tra i media o quantomeno da un efficace "pluralismo interno") - costituisce, a un tempo, la condizione imprescindibile sia per il formarsi di un'opinione pubblica realmente in grado di controllare la classe politica, sia per un dibattito politico informato nel quale le opinioni degli elettori possano trovare, tramite il voto, dei genuini rappresentanti; quanto più la libertà d'informazione si discosta dall'ideale ora tratteggiato, tanto più essa diventa una finzione sotto cui si cela il potere, in capo a un qualche complesso politico-economico-mediatico, di creare, di plasmare, di manipolare, e di occultare informazioni; quanto più ciò accade, tanto più l'opinione pubblica e la rappresentanza politica diventano, a loro volta, delle finzioni, al servizio di coloro che dovrebbero controllare e/o da cui dovrebbero essere rappresentate: e il punto finale è una liberal-democrazia "al ribasso" che rischia di rivelarsi puramente "di facciata".

Delle libertà di riunione e di associazione tratta Valentina Pazé, che ripercorre la storia della disciplina costituzionale dei diritti di riunione e di associazione, dallo Statuto albertino (costituzione flessibile, permeabile allo svuotamento di tali diritti da parte dei reazionari ottocenteschi prima, e del regime fascista poi), alla Costituzione repubblicana, che ne offre una tutela "rigida" e improntata a limitazioni circoscritte da motivi oggettivi (dimodoché, ad esempio, le riunioni "in luoghi pubblici" possono essere vietate "soltanto per comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica"). L'autrice si sofferma poi sulla connessione strategica tra libertà di associazione e democrazia, e accosta i "principi" costituzionali alla "realtà": una realtà non edificante, fatta di "modi di pensare diffusi, estranei allo spirito (...) della Costituzione", di abusi linguistici, e, non ultimo, delle recenti, gravi, violazioni del diritto di riunione dei manifestanti di Genova e di Napoli, a opera di alcuni malintesi servitori della cosa pubblica.

Nella voce sulle libertà di circolazione e di soggiorno di Luigi Ferrajoli si percepisce il carattere intrinsecamente universalistico dei diritti liberali. Il liberalismo è un'etica pubblica in linea di principio incompatibile con distinzioni nella titolarità dei diritti fondamentali di eguale libertà basate su dati accidentali, quali la cittadinanza di un particolare stato nazionale. Ne consegue che le politiche adottate dagli stati occidentali rispetto all'immigrazione da paesi terzi sono (oltre che controproducenti sul piano della politica criminale) illiberali, antidemocratiche, e razziste, poiché presuppongono, istituiscono, e rafforzano la diseguaglianza (morale, politica, e giuridica) tra esseri umani, distinguendo tra "inferiori" (gli immigranti) e "superiori" (i cives optimo iure). Di ciò Ferrajoli offre una puntuale dimostrazione, analizzando gli aspetti salienti della legge sull'immigrazione oggi vigente in Italia (l. 30 luglio 2002, n. 189, censurata dalla Corte costituzionale ancora in una recente pronuncia).

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