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scheda di Rigotti, F., L'Indice 1997, n. 2
Dirò subito perché il libro di Cambi è interessante e originale, oltre a essere assai ben scritto: perché affronta uno specifico problema, non sempre messo in rilievo dalla letteratura più o meno recente sull'utopia, che è quello del ruolo del diritto, del delitto e della pena in utopia. C'è posto per interventi di tipo punitivo e repressivo in società per definizione perfette, felici, ordinate e non trasgressive? La risposta è, contrariamente alle aspettative, positiva. Anzi, proprio il punto di vista prescelto da Maurizio Cambi, tra la filosofia e la giurisprudenza, consente di cogliere alcune asprezze del meccanismo utopico, alcuni momenti in cui esso si inceppa. Stupisce, nota Cambi, il fatto di trovare nelle terre di utopia un qualche perturbatore dell'ordine, un deviante, un trasgressore o addirittura un criminale, che riesce in qualche modo a valicarne i confini. Eppure la loro presenza sembra necessaria o addirittura indispensabile, forse, come interpretano Eliav-Feldon e Dahrendorf, per dare un tocco di realismo e concretezza a una situazione percepita altrimenti come totalmente assurda e slegata da riferimenti alla realtà. Caratteristico del discorso utopico in relazione al diritto è il suo auspicare una riduzione del numero delle leggi: quanto minore il numero delle norme, tanto maggiore l'intensità della felicità degli abitanti dei paesi utopici. Snellimento che deve accompagnarsi al maggior grado di chiarezza e comprensibilità possibile, quasi da rendere ognuno competente nelle faccende di interpretazione e applicazione della legge.
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