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Alla domanda ‘chi sei?’ Hannah Arendt era solita rispondere: un’ebrea. Ma che cosa significò essere ebrea negli anni in cui lo stato si identificava con una ‘nazione’? Tra i quattro punti cardinali di emancipazione, assimilazione, antisemitismo e sionismo l’apolide dalla Germania svolse i suoi esercizi di pensiero politico, trovando la propria collocazione in uno stato che, idealmente, si riconosceva solo nella sua costituzione, dove la tutela dei diritti era affidata all’equilibrio e al controllo reciproco dei poteri. Ma che cos’è il ‘potere’? Sfuggita per poco al vortice della silenziosa violenza totalitaria, la profuga tedesca inizia a confrontarsi con l’incapacità di pensare, giudicare e agire, trovando la sua via d’uscita nell’interpretazione rivoluzionaria e consiliare della polis greca.
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