Tutto il testo è percorso da una domanda, a suo modo irrisolvibile: cosa vuole dire tradizione platonica? Per rispondervi si può sostenere che esista un tratto comune a tutti i pensatori che a vario titolo nell'antichità si sono richiamati direttamente all'insegnamento platonico, sia all'interno sia all'esterno dell'Accademia. Ma lo sviluppo del platonismo a partire dai primi accademici sino al neoplatonismo testimonia una incredibile varietà di correnti e approcci diversi. Tra i tentativi di conciliazione con Aristotele o con lo stoicismo, le tendenze matematizzanti e pitagorizzanti, la parentesi scettica di Carneade e Arcesilao, sino alla tendenza metafisica e religiosa del neoplatosnimo, non è chiaro quale possa essere il contenuto comune della tradizione platonica. Infatti addentrandosi nello sviluppo del testo, il lettore può essere indotto a pensare che il titolo del libro avrebbe dovuto essere al plurale: I platonismi. Un carattere minimo a cui fare appello è, ovviamente ma non banalmente, il richiamo ai testi di Platone. Quindi si potrebbe ritornare alla questione dell'unitarietà del pensiero platonico, riproponendo così annosi e insolubili problemi esegetici, che Bonazzi non nasconde, anzi ne fa il perno della sua analisi. L'apparente mancanza di unitarietà diventa la chiave per comprendere il genuino interesse di diversi pensatori spesso dimenticati, restituendo loro importanza teorica e storica. Se esistono tanti platonismi è perché esistono tante anime del pensiero platonico. La prima e più ovvia è quella socratica e aporetica. Solo apprezzando questa vena socratica si può spiegare in che senso pensatori scettici come Carneade e Arcesilao si possano richiamare legittimamente a Platone nel sostenere i limiti della conoscenza umana: la filosofia vista come una ricerca e non un possesso della verità. Questa idea, lungi dall'essere una banale riproposizione di tesi passate, può chiaramente essere intesa come una genuina adesione a uno dei pochi principi incrollabili di tutto il pensiero e tradizione platonica: il dualismo tra mondo ideale e mondo empirico. Se il mondo empirico non può garantire vera conoscenza, se ne può dedurre una tesi scettica, dati i nostri limiti epistemici nell'accesso al mondo vero. Ma da questo principio può derivare anche una tesi propriamente neoplatonica: per difendere la radicale alterità del principio primo dal mondo empirico, si può sviluppare un sistema pesantemente metafisico di cui l'uno è il principio ineffabile che emana i successivi livelli di realtà progressivamente più imperfetta. Tra l'Accademia scettica e la lunga conclusione neoplatonica è di particolare interesse lo spazio dedicato da Bonazzi a figure spesso relegate a ruoli minori come i pensatori del cosiddetto medio platonismo, in cerca di identità tra l'Accademia di matrice scettica e l'inizio del neoplatonismo in età imperiale matura. Se l'epicureismo è la scuola da cui tutta la tradizione platonica si è sempre radicalmente distanziata, con lo stoicismo e l'aristotelismo si è ampiamente confrontata. Cruciale diventa il ruolo del Timeo poiché la vera croce della polemica con gli aristotelici non sarà la dimensione etica o politica, ma la capacità del pensiero platonico di spiegare l'origine del cosmo e la natura profonda del reale. Utilissime infine le appendici al testo. Nella prima vengono tratteggiati gli orientamenti politici del platonismo, in un'oscillazione solo apparentemente contradditoria tra governo della legge e governo della conoscenza del singolo. Nella seconda Bonazzi prende in considerazione il rapporto tra platonismo e cristianesimo e l'inizialmente contrastata ma poi largamente vittoriosa inclusione di Platone nel pantheon cristiano e la platonizzazione del pensiero greco-latino. Federico Zuolo
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