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Pietre colorate - Adalbert Stifter - copertina
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Pietre colorate - Adalbert Stifter - copertina
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Dettagli

1991
1 gennaio 1991
336 p.
9788842509431

Voce della critica

STIFTER, ADALBERT, Pietre colorate, Mursia, 1991
STIFTER, ADALBERT, Pietre colorate, Mondadori, 1994
STIFTER, ADALBERT, Pietre colorate, Aktis, 1989
recensione di Fancelli, M., L'Indice 1995, n. 6

Che nel giro di cinque anni siano uscite ben tre traduzioni dei "Pietre colorate", ovvero della più nota raccolta di racconti dello scrittore austriaco Adalbert Stifter, è un fatto certo rilevante e degno di attenzione. Le tre traduzioni costituiscono, infatti, un episodio importante e difficilmente superabile in intensità, della recezione italiana dello scrittore e di un processo ermeneutico che, in crescita da anni, ha reso possibile anche la versione del più noto romanzo di Stifter, e uno dei grandi dell'Ottocento mediano, "Tarda estate", uscito a Palermo nel 1990. Non solo, ma nella loro triplice scansione, queste traduzioni sottolineano tutta la dignità del testo fonte, gli conferiscono nuovo prestigio e pongono fine a una consuetudine di lettura legata a pochi racconti canonici e a categorie interpretative alquanto irrigidite.
Ma da anni ormai, anche in Italia, si va leggendo un altro Stifter. Ne è forse la miglior riprova, accanto agli importanti studi che si sono avuti negli ultimi anni e alle numerose traduzioni, il recente film di Maurizio Zaccaro "La valle di pietra", nel quale il giovane regista ha saputo trasporre con straordinario talento e discrezione le sottili inquietudini di "Pietra calcarea".
La raccolta che Stifter pubblicò nel 1853 con il titolo "Bunte Steine" comprendeva sei racconti, alcuni dei quali erano già stati scritti prima della rivoluzione del 1848 e poi ampiamente rielaborati. Si tratta di un ciclo che ha una sua unità interna nel tema dell'infanzia salvata e una esterna nella metafora della pietra indicata nei titoli dei singoli pezzi: "Granito", "Pietra calcarea", "Tormalina", "Cristallo di rocca", "Mica", "Calcite". Sono storie di fanciulli sfiorati dalla morte e poi salvati per un superiore e misterioso disegno, come nelle fiabe; salvati dalla peste, dall'acqua, dalla follia, dall'immenso potere della natura, dalla solitudine, dalla guerra e dal fuoco, in luoghi e tempi mai nettamente precisati.
Nato e pensato dall'autore come una strenna per ragazzi, nel presupposto che madri e fanciulli non fanno rivoluzioni, "Pietre colorate" non divenne, però, un libro per bambini, e la raccolta fu intesa giustamente, come in parte intendeva essere, una risposta agli eventi rivoluzionari, una proposta di conciliazione e di ordine, un invito ad attenersi alla "mite legge" che governa la natura e la storia, un messaggio antititanico e antifaustiano. Era, in realtà, una teodicea estremamente fragile perché, come il lettore moderno ha saputo ben riconoscere, una grande tragicità percorre questi racconti e sempre molto alto vi risulta il prezzo dell'ordine e della rinuncia al mondo delle passioni. Non a caso troviamo nei titoli di ogni racconto la metafora della pietra, che, secondo Benjamin, è "uno dei simboli più antichi della malinconia".
Le sapienti architetture formali di questa prosa coprono appena le infinite patologie del mondo stifteriano è costituiscono la difficoltà con la quale il traduttore deve misurarsi. Due in particolari le grandi sfide per il traduttore italiano: da un lato le vertiginose ipotassi cui Stifter affida la sua ossessione reiterativa e le lunghe catene di significanti, dall'altro il gioco continuo con l'ambiguità del preterito tedesco, laddove l'italiano impone di scegliere l'aspetto verbale, decisivo per la comprensione di questo testo.
In cinque anni sono uscite ben tre traduzioni di "Pietre colorate", tutte e tre diversamente meritevoli, anche se, dal punto di vista qualitativo, la migliore interprete di Stifter rimane ancora Gabriella Bemporad, che già da molti anni ci ha dato le splendide traduzioni di "Cristallo di rocca" e di "Abdia", riuscendo felicemente a conservare la patina favolistica dell'originale.
La prima traduzione di "Pietre colorate", edita per merito della piccola casa di Piombino, Aktis, è una traduzione vigorosa ed efficace, dove il moto ermeneutico del traduttore è molto forte; ma essa è qualche volta imprecisa, come nelle prime righe della pagina 107, o come nella prefazione del traduttore laddove si dice che i ragazzi di 'Bergkristall' vanno in visita alla madre (e non alla nonna, com'è ben noto).
La seconda, a cura di Matteo Galli, è indubbiamente la migliore edizione, corredata di dati tecnici e di intelligenti annotazioni critiche da parte di un competente studioso di Stifter, la più incursiva, nella quale è molto forte il gesto di penetrazione e di appropriazione del testo: il registro di stile che il traduttore ha scelto è piuttosto arcaicizzante e ricercato (cfr. il finale di "Calcite"), costellato di vari piccoli artifici retrospettivi (ma anche di numerose semplificazioni o riduzioni.
L'edizione degli Oscar Mondadori è indubbiamente la più fluida e fruibile e, se fosse lecito usare questo termine, la più professionale. Si tratta di una traduzione caratterizzata dalla spoliazione e dall'addomesticamento delle differenze con l'originale, forse anche troppo scorrevole, che tenta, riuscendoci spesso, di sciogliere ogni nodo. Essa avrà una parte decisiva nella necessaria e auspicabile divulgazione della narrativa stifteriana.

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Conosci l'autore

Adalbert Stifter

(Oberplan, Boemia, 1805 - Linz 1868) scrittore austriaco. Studiò diritto e scienze naturali, ma si interessò anche di pittura, matematica e astronomia. Precettore presso alcune famiglie nobili di Vienna, fu poi ispettore scolastico a Linz. Colpito da sventure familiari e da una grave malattia, S. morì probabilmente suicida. I suoi racconti sono raccolti nei sei volumi di Studi (Studien, 1844-50) e nei due di Pietre variopinte (Bunte Steine, 1853). Di questi ultimi fa parte la delicata storia natalizia Cristallo di rocca (Bergkristall, 1845), probabilmente il testo più famoso di S. Con L’estate di San Martino (Der Nachsommer, 1857) S. si ricollegò alla tradizione tedesca del Bildungsroman, che segue la graduale formazione spirituale del protagonista; mentre in Witiko (1865-67) rievocò le origini...

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