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Anno edizione: 2019
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Mi ha tenuta legata, pagina dopo pagina...mi ha fatto rivivere i tempi dell'università: l'energia, la tenacia e la spensieratezza di quei tempi trascorsi tra i vicoli di Napoli...sognando di realizzare qualcosa di meraviglioso!!! Un bel libro, scritto bene che non stanca mai! Lo consiglio assolutamente!
➡ Cosa mi è piaciuto: 😍 Napoli. Dopo aver letto questo libro il desiderio di visitarla è ancora più forte. 📝 Heddi, di madrelingua inglese, ha scritto questo romanzo in un italiano a dir poco perfetto. ❤ Il fatto che non si tratta di un romanzo d'amore in senso stretto. ⠀ ➡ Cosa non mi è piaciuto: 👨 Solo un nome. Pietro, mannaggia a lui! Alcune volte l'avrei preso volentieri a sberle. 😡
Tra queste pagine si consuma una doppia storia d'amore: quella intrattenuta da una ragazza americana con un giovane uomo e quella con Napoli, città unica e indimenticabile, capace di risucchiarla totalmente tra i suoi vicoli colorati dai panni stesi che sventolano al sole ed echeggianti di rumori, urla, voci. L'Autrice in questo libro ha riversato - e il lettore lo sente in modo vivido e forte - tutto l'affetto e i bei ricordi che conserva della propria esperienza in questa città, che è così: "un tumulto esplosivo e sguaiato", in cui nei quartieri, nelle piazze, per le strade, il chiasso e il caos fanno da padroni; c'è cura, attenzione e una grandissima sensibilità nello stile e nella ricerca delle parole, e l'Autrice riesce mirabilmente a farci assaporare e a mettere in risalto la forza e la carica comunicativa della lingua, del dialetto campano, nonché a ritrarre in modo fedele e verace posti, angoli, città e campagna, studenti goderecci e umili campagnoli. Una lettura davvero bella, dolcemente malinconica, in cui senti i palpiti del cuore e le emozioni di chi quei posti, quei vicoli, li ha amati e vi ha lasciato un pezzetto di sé.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Una statunitense che vive in Nuova Zelanda e scrive in italiano un romanzo ambientato a Napoli. C’è di che alzare il sopracciglio e drizzare le orecchie, anche perché il romanzo in questione, la cui prima versione era stata scritta in inglese ma invano, ha quel quid che manca a tantissimi altri sulla scena. Resta dentro, appiccicato all’anima. Con pagine che hanno mestiere e trasporto e un titolo che rinnova il senso di Antonio Franchini per… i titoli. L’editor principe di Giunti, partenopeo doc, ha scommesso tanto su Perduti nei quartieri spagnoli (468 pagine, 19 euro) e la sua autrice, Heddi Goodrich, che racconta una Napoli di qualche decennio fa nella sua apparenza e nella sua profondità, nella sua superficie e nella sua autenticità, non sfigurando affatto, anche rispetto ad autori che all’ombra del Vesuvio sono nati. Goodrich ha vissuto nel capoluogo campano anni cruciali della formazione ed è padrona della lingua italiana nelle sue pieghe più nascoste.
Il lettore viene subito catapultato, attraverso un messaggio di posta elettronica che apre il romanzo, in una storia d’amore perduto, che appartiene al passato, figlia di mondi evidentemente inconciliabili. Heddi (a Napoli ribattezzata Eddie) e Pietro sono due mondi lontani, lei studia Lingue, più precisamente Glottologia, e arriva da Washington, lui dalla provincia di Avellino e vuole laurearsi in Geologia. Nel presente della narrazione lo scambio epistolare prosegue, ma il piatto forte sono i sentimenti di Eddie per Pietro e per un’intera città (con la sua afa, i suoi rumori di fondi, la sua luce e il suo buio) che reggono tutto. Con una lingua piena di colori, aggettivi e odori, con una scrittura bella e mai ridondante, Goodrich tiene assieme le contraddizioni di una relazione fortissima e passionale, il rapporto con Napoli, luogo capace di sedurre e allo stesso tempo far male, il racconto di una gioventù che non può non apparire appagante e irripetibile, non solo agli occhi di chi l’ha vissuta (ma non giochiamo, per favore, al gioco di “quanto ci sarà davvero di autobiografico? quanto ci sarà di inventato?”). Un tempo ben raccontato non solo attraverso schiamazzi, odore di cucinato e di spinelli, vicoli che sembrano gomiti di un labirinto, ma soprattutto con i due personaggi principali, e tutti gli altri, Tonino, Luca, Angelo e Lidia, diversamente “simpatici” agli occhi di chi legge.
Se c’è qualche cliché, se c’è qualche scorcio di macchiettismo in Perduti nei Quartieri Spagnoli, bisognerebbe perdonarlo. Se il cuore dell’Irpinia, a Vallesaccarda, batte ostile e incomprensibile, nel suo essere fuori tempo e perfino un po’ volgare, non bisogna… sopravvalutarlo nel giudizio complessivo. Se in qualche frangente lo sguardo di Goodrich è quello di una turista bisognerebbe essere indulgenti con lei: sono peccati veniali. Il romanzo ripaga abbondantemente su altri fronti, vive di dubbi, passioni, paure, prende alla gola e fa camminare accanto alla sgangherata compagnia che lo anima. E può ricordare a molti il passato, anche ad altri latitudini, anche senza un vulcano a osservarci.
Non dura tutta la vita, ma la cambia per sempre, è slogan (l’avete riconosciuto?) che si adatta all’amore di Eddie e Pietro, che sboccia in serate universitarie e alcoliche, nelle vie intricate dei Quartieri Spagnoli, in certa attività onirica della studentessa americana. E lo stesso si può dire per la Napoli che resta in ogni cellula di Eddie, anche quando il suo amato sembra rimanere invischiato in meccanismi e in gabbie familiari (della sua famiglia d’origine e di un mondo ancestrale), in vincoli forse d’altri tempi, o forse no, comunque lontani anni luce dal pensiero della ragazza. Goodrich, che non sembra avere radici nella vita personale, ne mostra di vivissime sulla pagina: quegli appartamenti abusivi e fatiscenti, pieni di giovani, quelle strade rumorose, sotterranee, le premure di Pietro, la bellezza di playlist rigorosamente in musicassetta, l’abbandono alla felicità, che esplode, prima di essere distrutta.
Recensione di Giovanni Leti
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