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Per un ritratto dello scrittore da giovane - Leonardo Sciascia - copertina
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Per un ritratto dello scrittore da giovane

Descrizione


A distanza di dieci anni dalla sua morte, la singolarità, l'unicità della fisionomia di Sciascia spicca, se possibile, ancor più di prima. Ne avranno conferma i lettori percorrendo questa raccolta di testi sinora difficilmente reperibili e mai raccolti in volume. Benché i temi siano disparati, si passa dall'uno all'altro quasi lungo il filo di una sola indagine, che è poi quella cui Sciascia si dedicò tutta la vita, limitandosi a "dormire con un occhio solo" (come recita il titolo di uno di questi saggi) - immagine che indica il continuo scrupolo di verificare e mettere alla prova anche i moti più segreti, anche i più entusiastici.
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Dettagli

2000
5 aprile 2000
170 p.
9788845915260

Voce della critica


recensioni di Traina, G. L'Indice del 2000, n. 09

"La dimenticanza - o, se si vuole, più poeticamente, l'oblio - spesso s'insinua e dilaga come edera rampicante a coprire certe aree e certi nomi della nostra storia civile e letteraria". Così scriveva Leonardo Sciascia nel riproporre ai lettori la scrittrice tardo-verista Maria Messina. Rileggiamo queste parole in Per un ritratto dello scrittore da giovane, raccolta di saggi di argomento letterario curata dalla vedova dello scrittore. Il libro prende il nome dal più lungo di questi scritti, dedicato al giovane Giuseppe Antonio Borgese e già pubblicato come volumetto autonomo nel 1985. Gli altri scritti qui presenti, usciti su giornali o riviste o come introduzione a libri altrui, non erano mai stati ristampati in volume da Sciascia, il quale, anzi, aveva interdetto la ristampa postuma di qualunque suo scritto.
Ma i lettori e gli studiosi debbono essere grati a Maria Andronico per aver contraddetto il marito: e anzi ci augureremmo la ristampa di qualche altro testo sparso di Sciascia: un'antica recensione al Barone rampante di Calvino, le pagine dedicate a Ortega y Gasset o all'Assassinio di Roger Ackroyd di Agatha Christie; e un intero libro ormai introvabile, quel Quaderno che raccoglieva i migliori articoli pubblicati negli anni sessanta sul quotidiano "L'Ora".
Dall'amorevole lavoro di Maria Andronico è venuto fuori, innanzitutto, un ritratto di Sciascia: non un ritratto dello scrittore da giovane, ma un ritratto lungo un'intera vita, che comincia sì dalle passioni giovanili di lettura, prosegue con le scoperte degli anni della maturità e arriva fino alle piccole grandi battaglie editoriali, alcune vinte altre perse, per rilanciare scrittori che sono modelli sia di stile sia di moralità: dall'amato Candide e dai feuilletons di Luigi Natoli si passa infatti a Brancati, Savinio e Borges e si approda a De Roberto, Manuel Azaña, Giuseppe Rensi, Bufalino.
Non sorprende allora che il libro sia costruito nel rispetto di quel forte senso delle generazioni letterarie che Sciascia aveva consacrato in un bel saggio dedicato al giornale "Omnibus". Da ogni sua pagina critica emerge, infatti, la capacità di collocare uno scrittore in rapporto alla generazione a cui appartiene (ed ecco l'accostamento fra la Messina e la quasi coetanea Katherine Mansfield, i cui testi erano però certamente ignoti alla siciliana) e la tendenza a collocare lo scrittore esaminato in rapporto alla generazione a cui appartiene il lettore Sciascia.
In Per un ritratto dello scrittore da giovane ci sono infatti splendidi saggi dedicati a scrittori che Sciascia giustamente ritiene decisivi per la generazione a cui egli appartiene: Savinio, Brancati e il filosofo Rensi, rievocato anche in relazione al significato che la lettura delle sue opere poteva avere negli anni della dittatura fascista. Né si può sottovalutare la fedeltà di Sciascia a pagine di critica letteraria che sono (ma quanto giustamente?) ormai fuori corso e che costituirono però le letture fondamentali dei suoi anni di formazione: quelle di Borgese, Ortega, Salvatore Battaglia, o del D.H. Lawrence interprete di Verga, o perfino l'"aureo saggio" manzoniano di Angelandrea Zottoli.
Anche in questa raccolta di testi critici - come già in Pirandello e la Sicilia, nella Corda pazza, in Fatti diversi di storia letteraria e civile, e dunque con l'unica eccezione di Cruciverba -, ci s'imbatte in un'autentica ossessione dello Sciascia critico: Il Gattopardo. E pure questa circostanza è spiegabile con il concetto di generazione letteraria: Sciascia visse la pubblicazione del romanzo di Lampedusa dalla parte di Vittorini, ponendosi come suo discepolo ideale e stroncando il libro che egli aveva rifiutato di pubblicare. Via via che la concezione vittoriniana dell'impegno dello scrittore gli appariva obsoleta, avviò un'accorta riconsiderazione del Gattopardo che culmina nel testo tardo qui raccolto, dove però Sciascia non può, ancora una volta, fare a meno di opporre Il Gattopardo ai Viceré, in nome di quell'inesorabile legge delle contrapposizioni letterarie che lo portò a parteggiare per Tolstoj contro Dostoevskij e per Stendhal contro Balzac.
I motivi d'interesse del volume non finiscono qui. Anche questi testi, come quelli di Cruciverba (la più ricca fra le raccolte saggistiche di Sciascia), ci fanno cogliere la stretta relazione fra la scrittura narrativa e la scrittura saggistica del nostro autore: il Ritratto di Alessandro Manzoni ci dà un campione significativo della sintassi di Sciascia, densissima fino a essere impervia, definita da Marco Belpoliti "spiraliforme" e dunque intrinsecamente barocca, studiata da Antonio Di Grado in un capitolo del suo "Quale in lui stesso alfine l'eternità lo muta". Per Sciascia, dieci anni dopo (S. Sciascia, 1999).
Lo stesso saggio manzoniano conferma le riserve che il nostro scrittore nutriva verso la natura più intrinsecamente lirica della poesia, visto che il Cinque maggio e la Pentecoste gli appaiono "forse le liriche più alte dell'Ottocento italiano (e forse non solo italiano)". Vien da chiedersi subito: e Leopardi? Quel Leopardi che pure traspariva nella filigrana del Cavaliere e la morte, capolavoro sciasciano dell'88, lo stesso anno di questo saggio su Manzoni... Nel quale troviamo, peraltro, una pregnante definizione della fortuna che ai Promessi sposi l'Italia - cattolica ma poco cristiana - ha riservato: "una concreta insofferenza sotto la cenere dell'astratta ammirazione". Per Sciascia tale definizione vale anche per l'atteggiamento degli spagnoli verso il Don Chisciotte: e se non ci fossero i periodici attacchi astiosi dei Guglielmi, Vassalli o Raboni di turno, forse tale definizione potrebbe valere anche per il complesso dell'opera di Sciascia, nell'Italia di oggi.
Ragionando sulla fortuna di Candide, Sciascia prevede che "quanto più il mondo diventerà irragionevole (e in questo senso velocemente corre), tanto più i ragionevoli, con amaro diletto, vi si rifugeranno": è uno squarcio aforistico degno di Nero su nero, uno dei suoi libri più significativi e meno ricordati. Ma Per un ritratto dello scrittore da giovane non ci consente solo di ritrovare lo Sciascia migliore, ci fa anche capire meglio Sciascia, certe sue filiazioni: il saggio dedicato a Manuel Azaña e alla Velada en Benicarló, dialogo sobre la guerra de España ci rivela quanto quest'opera - per la sua natura di dialogo sull'estrema soglia di un'esperienza riformatrice - possa avere influenzato la composizione della più impegnativa opera teatrale di Sciascia, Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D.
Dall'Incontro con Lucio Piccolo si ricava che il poeta di Capo d'Orlando rappresentò per Sciascia, nel corso degli anni sessanta, tanto il contraltare del cugino Lampedusa quanto un modello di letterato nuovo rispetto all'ormai inservibile Vittorini. Molto più di quella veemente e partigiana di Buttitta, di cui pure nel volume si parla, la poesia segreta e barocca di Piccolo offriva una lettura obliqua della Sicilia che affascinò Sciascia per quello che conteneva di diverso dalla sua: una prospettiva letteraria verso la quale si avvicinerà però sempre più negli ultimi anni. Ma che aveva radici antiche, com'è dimostrato dalla recensione del 1955 alla prima traduzione italiana di Finzioni di Borges, scrittore della cui grandezza Sciascia s'accorse prima di tanti altri. Opportunamente Maria Andronico ripropone quell'antica recensione, e un po' dispiace non vederla seguire da altri due articoli su Borges: uno pubblicato nel '79 sul "Corriere della Sera" e una letteratissima intervista redatta in occasione dell'unico, memorabile incontro di Sciascia con lo scrittore argentino.
Ma la duttilità della prospettiva letteraria di Sciascia è evidente anche grazie alla celebrazione della non necessità dello scrivere, riferita a due figure appartate come Luigi Monaco e Francesco Guglielmino: il primo era "uno di quegli uomini che non scrivono libri forse perché il loro destino è di avviarne altri a scriverne"; il secondo, autore di un solo libretto di poesie e di pochi studi di letteratura greca, fu "un uomo cui piaceva vivere, stare tra la gente, guardare, scrutare, pensare; e leggere".
Una più precisa messa a fuoco del profilo intellettuale di Sciascia, delle sue feconde contraddizioni, del suo gioco a nascondere, viene pure dal saggio su Diceria dell'untore di Bufalino (autore che influenzò la tarda produzione sciasciana, come ha dimostrato Nunzio Zago nel suo La parola reticente nel "Decameron" e altri saggi, Salarchi Immagini, 2000): Sciascia vi afferma, senza possibilità di equivoco, che la suprema verità della letteratura passa attraverso le menzogne dello scrittore, il quale "attinge alla verità dell'esistenza attraverso la mistificazione, il gioco, l'ambiguità, l'inganno: in sé, di sé, dei sentimenti, delle cose, dei fatti".

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Leonardo Sciascia

1921, Racalmuto

Leonardo Sciascia è stato uno scrittore e uomo politico italiano. Esordisce sotto il segno di una prosa poetica (Favole della dittatura, 1950; La Sicilia, il suo cuore, 1952) che lascia però presto il passo ad una vena che si rivelerà per lui più feconda. A dire dello stesso Sciascia, la sua cifra più autentica affonda infatti le radici in «una materia saggistica che assume i modi del racconto». Questa direzione è subito evidente fin da Le parrocchie di Regalpetra (1956) e Gli zii di Sicilia (1958), che mostrano come gli spunti di cronaca isolana si sappiano fare pretesto e cornice per indagare sul costume sociale e le sue degenerazioni.Esempi ancor più compiuti in tal senso saranno Il giorno della civetta (1961) e A ciascuno...

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