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Valerio Evangelisti, storico, romanziere e critico letterario sostiene con passione che la cosiddetta letteratura di "genere" possiede delle qualità ben superiori della letteratura "alta", in quanto è capace di trascinare il lettore nel vivo delle problematiche contemporanee, facendolo viaggiare nel tempo e nello spazio e dandogli la possibilità di conoscere dall'interno realtà geografiche, antropologiche e storiche molto lontane dalle sue oppure, al contrario, straordinariamente vicine, eppure mai osservate con attenzione. Augè, sociologo/etnologo, è teorizzatore della cosiddetta "antropologia del vicino", cioè dello studio antropo/etnologico che, riguardando ciò che è vicino, contiguo alla nostra realtà quotidiana, assume questo punto di vista come profondo strumento di conoscenza del reale. Il nuovo romanzo di Valentina Gebbia, oltre ad essere lieve e divertente e a rispettare pienamente i canoni del più "classico" romanzo poliziesco con il suo crescendo di mistero fino all'epifania e al disvelamento finali, assolve in pieno a questi requisiti: offre, infatti, uno sguardo non stereotipato sulla sicilianità e, in particolare, sulla "palermitanità" (sui suoi difetti, le sue idisioncrasie, ma anche sui suoi pregi), gettando un colpo d'occhio indagatore e attento su di un quartiere di Palermo fortemente tipizzato e ricco di sue specifiche connotazioni socio-antropologiche e culturali, qual'è il Borgo Vecchio, nato fuori le mura nel corso dell'Ottocento per ospitare abitazioni, magazzini, fondaci e stalle nei pressi dell'area portuale. Nello stesso tempo, l'utilizzo della parlata dialettale nei dialoghi (ma sempre con discernimento e con levità) non esclusivamente un vezzo letterario, contribuisce ad arricchire ulteriormente la definizione dei diversi personaggi e le loro strutture di pensiero. Per uno estraneo alla città, il testo fornisce preziosi elementi di conoscenza di vezzi, riti e cattive abitudini. Per un palermitano DOC, è una divertente/amara escursione dentro il proprio modo di essere e pensare.
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