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Il paradosso dell'ossigeno: "fonte atmosferica della vita e principale causa della degenerazione e della morte delle cellule.". Un po' come il Pharmakon che è allo stesso tempo medicina e veleno. Un po' come l'arco (in greco biòs) che è chiamato come la vita e produce morte. Uno spostamento in treno su una tratta regionale, un guasto, due donne, una madre e una figlia, che si confrontano, si scoprono opposte e identiche. Sì, perché la stessa cosa sono madre e figlia, quando anche la figlia diventa madre e quando la madre ridiventa fragile come una figlia. Una è ciò che è solo grazie alla sua opposizione all'altra pur essendone allo stesso tempo identica. La loro armonia nasce dal loro dissidio ed è contrastante come quella dell'arco e della lira, che sono quel che sono proprio per la tensione tra corde e struttura più rigida. Nel breve tempo del viaggio e del guasto si affacciano, nei loro gesti, nelle loro parole e nei loro pensieri, pezzi della loro vita che permettono di delineare l'intero. Perché i pezzi esistono solo in relazione all'intero e viceversa. E sullo sfondo altri personaggi, anche maschili, giovani, adulti o vecchi, che completano il quadro. Una piccola storia che è la storia di tutti noi, che sicuramente siamo stati figli, se non anche madri e padri, che siamo e siamo stati, nel tempo, una cosa e il suo contrario, perché in fondo la stessa cosa, diceva qualcuno, sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi, la storia di noi che non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume e che, nello stesso tempo, sguazziamo sempre nello stesso pantano. Il tutto in una lingua splendida, precisa, elegante. Che dire? un gioiellino.
Questo romanzo ti mette di fronte a una scelta radicale, senza perdersi in sentimentalismi. Però di sentimento ce n'è tanto e ti resta dentro.
In Il paradosso dell’ossigeno di Lucia Valcepina finisci nei silenzi e nelle parole di due donne, Aphra e Giulia. Mamma e figlia non si conoscono bene, le distanze le hanno allontanate e le scelte hanno fatto il resto acuendo le incomprensioni. Aphra, ex attrice di teatro, ha indossato molte vite creando un disordine nelle poche certezze messe in piedi per sé e per la sua famiglia. Giulia, sua figlia, ha dovuto affrontare l’esistenza senza applicare fronzoli. È pratica ed elimina il superfluo dalla testa per concentrarsi sulla sostanza. Essere madre a sua volta la spinge a bruciare i propri sogni per incanalare quelli di un figlio. Le due donne, su un treno in sosta, saranno l’una gli occhi dell’altra, si parleranno scoperchiando pensieri messi sottovuoto da trotto tempo. Il romanzo apre il sipario dell’anima. La storia entra dritta nelle situazioni scomode, nelle decisioni rimandate, negli affetti inespressi. La narrazione è delicata, bella. Ha stile, la scrittrice. Il lettore segue il passo delle protagoniste senza fiatare, ogni suo fiato potrebbe spezzare il momento delle parole. Questo pensa il lettore che va avanti con gli occhi per seguire una storia che potrebbe appartenere a tutti.
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