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Recensioni Il paradiso ritrovato

Il paradiso ritrovato di Halldór Laxness
Recensioni: 5/5

Lo humor e la poesia di Laxness raccontano la ricerca umana della felicità attraverso l’epopea picaresca di un contadino islandese che approda tra i mormoni dello Utah.

«Conoscere, esplorare e confrontarsi con l’altro da sé è sempre stata una questione fondamentale per il popolo islandese: nella convinzione che "la verità viene prima di ogni altra cosa" e che "chi torna non è mai la persona che è partita"»Nicola Lecca, Robinson – la Repubblica

Il fatto è che, se il mondo smette di essere prodigioso agli occhi dei nostri bambini, non ne resta granché.

Steinar, agricoltore idealista e lavoratore coscienzioso, vive pacificamente in una piccola fattoria nel distretto di Steinahlidar con la moglie e i due figli. Si dice che Krapi, il suo cavallo bianco, sia dotato di poteri magici e per questo è l’oggetto di molte bramosie. Ma invece di venderlo ai potenti della zona, Steinar va a Thingvellir a offrirlo al re di Danimarca Cristiano IX, in visita per celebrare il millesimo anniversario del primo insediamento islandese. Dopo aver accettato l’invito del re a Copenaghen, incontra il vescovo mormone Didrik, che lo convince a partire con lui per unirsi alla comunità mormone del Paradiso Terrestre, nella valle di Salt Lake nello Utah. Ma mentre Steinar si integra nella nuova vita comunitaria oltre oceano, la sfortuna si abbatte sulla sua fattoria: le pietre invadono il suo campo, la casa crolla, la famiglia si sfascia a causa dei soprusi e della povertà. Quando Steinar tornerà in patria per ricostruire la sua vita sarà molto più informato sugli ideali e sugli inganni del mondo e avrà scoperto che la felicità non dipende dal raggiungimento della verità eterna. Pubblicato la prima volta nel 1960, Il paradiso ritrovato è una storia commovente e ironica, composta in egual maniera da elementi favolistici, folklore e umili verità, un romanzo complesso e sorprendente su quanto lontano può spingersi l’uomo nella sua ricerca della felicità.

COME COMINCIA
All'alba del regno di Cristiano figlio di Guglielmo, terzultimo dei sovrani stranieri che esercitarono il potere qui in Islanda, viveva a Hlíðar, in quelle campagne note come Steinahlíðar, un contadino di nome Steinar. Suo padre l'aveva fatto battezzare così in seguito alla pioggia di pietre franate dalla montagna nella primavera in cui era venuto al mondo. Al principio di questa storia, Steinar aveva moglie e due bambini, un maschietto e una femminuccia. Le terre di Hlíðar erano venute in suo possesso per eredità.
Nel periodo in cui cominciano queste vicende, gli islandesi erano noti per essere il popolo più indigente di tutta Europa. Così erano stati anche i padri, i nonni, i bisnonni, risalendo fino ai primi colonizzatori; ma loro erano convinti che nei tempi antichi l'Islanda avesse conosciuto un'età dell'oro, in cui gli islandesi non erano contadini e pescatori, bensì eroi e poeti di sangue reale, provvisti di armi, ori e navi. Come altri ragazzi islandesi, anche il figlio del villico di Hlíðar aveva imparato in fretta a essere vichingo e uomo del re. Con il legname portato a riva dalle correnti s'intagliava asce e spade.

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