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Il rapporto fra i comuni e il papato nel corso del Duecento è stato tumultuoso e, al di là delle momentanee alleanze contro gli imperatori tedeschi, fondamentalmente ambiguo. Il libro densissimo di Laura Baietto ci aiuta a capire i tratti di questa ambiguità e le difficoltà di una reciproca comprensione fra le istituzioni cittadine e i pontefici della prima metà del Duecento che si rifiutarono di riconoscere alle città un'autonoma dimensione istituzionale. Le città erano certo parte dell'ordinamento politico della società, ma nulla di più di una componente di media grandezza del cosmo imperiale. Per lungo tempo, appunto da Innocenzo III a Innocenzo IV, il rapporto con le città fu segnato da questa sostanziale differenza di registri ideologici e linguistici fra la chiesa e le città stesse. L'analisi del linguaggio pontificio, attinto dalle numerose lettere indirizzate dai papi alle (e spesso contro le) città, fa emergere con chiarezza la costruzione di un'ideologia della sovranità pontificia, che, sotto la figura della Libertas Ecclesiae, pretendeva non solo di essere immune da qualsiasi intervento dei poteri cittadini, ma ne sottometteva l'operato a un attento esame "politico" sotto il profilo dell'ortodossia religiosa. Proprio con le città italiane, l'uso spregiudicato del reato di ribellione equiparato a quello di eresia trovò uno dei primi fondamentali campi di applicazione. Lo scontro con Federico II, fra il 1236 e il 1250, mutò in parte questo quadro. Innocenzo IV, costretto a ricorrere all'aiuto delle città italiane, ne riconobbe per primo il valore e l'utilità di "istituzioni" della cristianità, ma ne influenzò direttamente la natura politica, insinuandosi nelle divisioni interne con un chiaro intento ordinatore: distinguere le componenti politiche attive nelle città in base alla fedeltà all'ortodossia e alla chiesa. La via alla semplificazione "fazionaria" delle città italiane fra ghibellini e guelfi era così definitivamente aperta. Massimo Vallerani
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