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"Morirò in piedi" è un libro che sa tenersi a una certa distanza dallo stile e dai toni celebrativi che ci si potrebbe aspettare ricordando Oriana Fallaci. Quello che invece colpisce, nel testo, è l'immagine di una donna come tante, alle prese con un male inguaribile (da lei definito l'"Alieno") e il cui unico desiderio è quello di poter morire sulla torre dei Mannelli. Personalmente l'ho trovato ben scritto, con toni che rasentano l'intimismo (il testo è una lunga e ininterrotta chiacchierata fra vecchi amici) senza però scadere nel commovente. Insomma, una lettura da consigliare, anche perché, nonostante la certezza di una morte imminente, Oriana non rinuncia a comportarsi da Oriana, rivivendo con orgoglio, e per un'ultima volta, i momenti indimenticabili della sua lunga carriera di giornalista e scrittrice.
La grande casa di pietra posta a guardia del crinale della collina era ben nascosta agli occhi indicreti del mondo, solo la torre merlata svettava severa al di sopra degli alberi maestosi che, l' abbracciavno tutta, come a volerla proteggere dai curiosi. Da chiunque. Avevo seguito le indiczioni alla lettera, da Piazza Matteotti a Greve in Chianti avrei dovuto dare le spalle alla statua di Verazzano e facendo questo, prendere la strada a sinistra della Chiesa, quindi, percorrerla per cinque chilometri almeno, fino a superare il Castello di Lamole. Fatto questo, a sinistra mi sarei ritrovato una chiesa con le porte d' ingresso sempre spalancate, li' avrei potuto continuare solo a piedi per una stradina bianca, sterrata che costeggiava il pozzo posto davanti allo spiazzo e che mi avrebbe condotto a Case Sparse in Casole. Lo avevo fatto. La stradina si inerpicava per una leggera salita, costeggiata di alberi immensi, frondosi, e vigneti lavorati che degradavano fino a valle. Finita, eccomi davanti ad un alto cancello di legno chiuso con un laccio robusto in cima alle due picche piu' alte, alla sinistra del quale due cose molto particolari : una grossa cassetta di metallo dipinta di un verde scuro con in rilievo le lettere " mail " e un grosso campanaccio con un pendente da tirare per richiamare l' attenzione degli abitanti della grande casa. Due cani subito accorsero al suono del campanaccio : un maschio di nome Pani ed una femmina di nome Gilda, poi la Signora Paola dopo essersi pulite le mani con uno straccio della terra dei vasi ai quali stava lavorando, mi introdusse all' interno dello spiazzo. Uno ampio spazio. Dai balconi di ferro battuto del primo piano le tende si nuovevano al caldo di quel pomeriggio di luglio, subito notai una chiesa privata, annessa alla grande casa e unica concessione alla modernita' : una bellissima piscina che era l' unico segno di ristoro al caldo soffocante che regnava sovrano. Poi..ecco, a questo punto, per nulla al mondo raccontero' cio' che avvenne a casa della Oriana.Punto
Un libro privo di ogni spocchia intellettuale. Onesto, al punto di riportare persino gli atteggiamenti bruschi della Fallaci verso Nencini e quelli quasi sottomessi di lui. Non dubito che la Fallaci raccontasse spesso gli episodi più drammatici della sua vita, come la strage in Messico, e più volte allo stesso Nencini che non dice di non esserne a conoscenza, riporta semplicemente il racconto con ingenuità e onestà, comprese le proprie domande che a volte suonano pure ingenue o superflue. Ho letto pochi libri della Fallaci, anche per la mia avversione ai bestseller, ma dopo aver letto questo mini-diario li rileggerò tutti. E leggerò altri testi "sulla" Fallaci simili a questo, ammesso che ne vengano scritti altri.
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