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Orazioni: Contro Timarco-Sui misfatti dell'ambasceria - Eschine - copertina
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1998
Tascabile
14 gennaio 1998
456 p.
9788817172011

Voce della critica


recensioni di Maffi, A. L'Indice del 1999, n. 01

Le due orazioni giudiziarie pubblicate in questo volume riguardano entrambe un passaggio cruciale della strategia adottata da Atene per difendersi dalle mire espansionistiche di Filippo di Macedonia: la conclusione della cosiddetta pace di Filocrate (l'uomo politico ateniese che se ne fece promotore nel 346 a.C.). Nello stesso tempo offrono uno spaccato illuminante della vita politica ateniese di questo periodo, in cui risaltano le figure dei due grandi oratori avversari: Demostene e, appunto, Eschine, a loro volta portavoci di gruppi politici contrapposti. Lo spunto da cui muovono le due orazioni è l'attacco di Demostene al comportamento che Eschine avrebbe tenuto nel corso dell'ambasceria ateniese, di cui entrambi gli oratori facevano parte, inviata a Filippo per ottenere la ratifica del trattato di pace approvato dall'assemblea ateniese. Secondo l'accusatore Demostene, Eschine, corrotto dal re macedone, avrebbe assecondato il ritardo con cui Filippo sottoscrisse il trattato, ritardo che permise a quest'ultimo di modificare sostanzialmente a proprio favore la situazione politico-militare nella Grecia settentrionale. Nell'azione giudiziaria, intentata contro Eschine dopo il ritorno degli ambasciatori in patria, accanto a Demostene compariva come accusatore un altro esponente del suo stesso gruppo politico, di nome Timarco. Per parare l'attacco, Eschine, perfetto conoscitore dei complessi meccanismi politico-giudiziari dell'epoca, si difese accusando a sua volta Timarco di essersi prostituito. Questa accusa, se accolta dai giudici, avrebbe privato Timarco dei diritti politici, ivi compresa la legittimazione a intentare processi, e in ogni caso comportava la sospensione del processo contro Eschine in attesa che si definisse la posizione di Timarco. La manovra di Eschine, documentata dalla prima delle due orazioni qui pubblicate, riuscì: Timarco fu condannato. Tuttavia Demostene non desistette, e tre anni dopo (nel 343) il processo riprese. La seconda orazione qui pubblicata è appunto la difesa pronunciata da Eschine in questa occasione, che gli valse la vittoria, sia pure per pochi voti. Ma la rivalità fra i due oratori continuò ancora per molti anni, e si concluderà solo nel 330, quando Eschine vedrà respinta dal tribunale l'accusa a Demostene di aver ottenuto illegalmente la concessione di una corona onorifica da parte delle autorità cittadine. In seguito a questa sconfitta, che verteva in apparenza su un punto marginale, Eschine scomparve dalla scena politica. Di quest'uomo, Natalicchio ricostruisce con puntiglio il carattere e le ragioni, nei limiti in cui le due orazioni lo consentono. Spesso il curatore si spinge oltre il livello di pur alta informazione consueto a questo genere di lavori, entrando nel vivo del dibattito scientifico sui molti problemi di ordine filologico, storico e giuridico che le due orazioni pongono. Il testo greco a fronte è quello pubblicato nell'edizione francese delle Belles Lettres nel 1927-28. Sarebbe stato utile (accanto al ricchissimo apparato di note) un indice dei nomi.

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Eschine

(Atene 389 ca - 314? a.C.) oratore greco. La sua famiglia, di discrete condizioni, cadde in povertà durante la guerra del Peloponneso; perciò E. esercitò dapprima l’attività di scrivano, poi fu attore, infine segretario della bulè. Ambasciatore presso Filippo più volte nel 346, E. finì per diventare uno dei fautori più accesi del re di Macedonia e uno dei più accaniti avversari di Demostene. Lo scontro con quest’ultimo ebbe tre momenti particolarmente drammatici. Nel 346 Demostene, tramite un prestanome, Timarco, accusò E. di essersi lasciato comprare da Filippo: E. riuscì a sbarazzarsi abilmente di Timarco (Contro Timarco), provandone l’indegnità morale. Nel 343 Demostene sferrò di persona il secondo attacco: questa volta E. ottenne solo per pochi voti l’assoluzione (Sulla corrotta ambasceria)....

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