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Recensioni Nevada

Nevada di Claire Vaye Watkins
Recensioni: 3/5
Accolto con entusiasmo dalla critica e dalla stampa americane, Nevada segna il folgorante esordio di Claire Watkins sulla scena letteraria internazionale. Con la sua prosa «scabra e, a un tempo, delicata» (San Francisco Chronicle), l'opera ha fatto subito incetta dei maggiori premi letterari dedicati alle short stories e la sua giovane autrice è stata unanimemente considerata come «una delle migliori voci» (Louise Erdrich) della nuova narrativa americana.

«Una scrittura straordinariamente sicura che riesce a essere scabra e, a un tempo, delicata»San Francisco Chronicle

«Folgorante»O, The Oprah Magazine

«La voce più accattivante dopo Annie Proulx»Vogue

Le ragioni del successo di questo libro stanno certamente nell'originale luce che Nevada getta sul paesaggio per eccellenza della letteratura americana: il West, dove l'anima selvaggia della natura si misura con i furori propri della modernità. Ma stanno ancora di piú nei personaggi con cui Watkins anima e popola il suo West: minatori, movie star, milionari, maniaci, visionari e opportunisti che in un secolo e mezzo hanno, come ha scritto il New York Times, eretto un mondo nuovo in un immenso spazio vuoto. «Fantasmi, cowboys», il primo racconto, è un'esemplare rassegna di questo mondo che dal 1941 – quando George Spahn, produttore di latte e apicultore dilettante della Pennsylvania, compra dalle mani di un divo del cinema muto un ranch sulle Santa Susana Mountains – si spinge fino al 1968, quando, in quello stesso ranch, si accampa un gruppo di all'incirca dieci ragazzi – la maggior parte adolescenti, tra i quali il padre di Claire Watkins – che trasformeranno le utopie di una generazione nel piú atroce degli incubi e dei crimini. In «L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno» non sono i sogni, ma gli oggetti perduti a ricostruire il mondo di narratore e narrato. Un pomeriggio un uomo ritrova su una strada i detriti lasciati da un incidente d'auto: vetri rotti, lattine di Coca, boccette di medicinali, una busta di plastica piena di lettere firmate, un fascio di foto, e attraverso quegli oggetti finisce col ricostruire il filo rotto della sua stessa vita. In «L'archivista» una donna decide di tramutare il proprio appartamento in un Museo dell'Amor Perduto, un'installazione composta da tutti i messaggi arguti ed evasivi ricevuti dall'amato, una copia del bar dove si erano incontrati, i diorami fatti a mano delle loro uscite piú belle. Su ogni perdita, sullo stesso peso inadeguato del passato spira, tuttavia, in queste pagine l'aroma di una terra che ha «quel certo modo di addolcirti, di renderti vulnerabile», quell'odore del «respiro di ogni pianta del deserto piena di gratitudine, di ogni appezzamento di terreno, di ogni scarto d'argento ancora non trovato già».)
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