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Il pregio di certe pubblicazioni, oltre che nel contenuto, sta nel valore aggiunto che l'autore offre in ragione della sua stessa esistenza. Movimentata e sofferta, quello di Fritz Heymann, che ebbe in sorte di vivere le vicissitudini della prima metà del secolo, terminando la sua vita ad Auschwitz, probabilmente già nel 1942. La sua storia dei marrani, che vede oggi l'edizione in lingua italiana grazie a La Giuntina, ci permette di vedere quanto della calamitosità degli anni in cui essa è stata scritta, durante la dittatura nazista, sia rintracciabile in quello che era già incorso nei secoli precedenti agli ebrei perseguitati. Heymann non era uno storico di professione ma, in particolare modo dopo l'ascesa di Hitler al potere, si dedicò con acribia e sollecitudine allo studio delle vicende che avevano coinvolto le comunità di ebrei iberici dalla fine del XIV secolo in poi. I cosiddetti "marrani", termine in sé ingiurioso, costretti a convertirsi al cristianesimo o, in alternativa, a fuggire se non a perire, per l'autore costituiscono un soggetto a sé, non omologabile agli altri ebrei europei e mediterranei. Ovvero, le vicende che ne accompagnano la storia fanno sì che la dispersione dovuta alla loro cacciata, attraverso le ibridazioni e i meticciati familiari, li consegnino a una condizione dove la promiscuità e l'endogamia con altre comunità siano quasi una costante. Eppure, questi "ebrei che si sono distinti (
) per il fatto di essere stati cristiani per almeno un secolo, spesso molto più a lungo", hanno mantenuto, se non coltivato, nella riservatezza domestica, il senso profondo di un'appartenenza. Heymann ragiona soprattutto su quest'ultimo aspetto, ricostruendo la storia di un gruppo, ma anche e soprattutto le sue complesse dinamiche sociologiche e culturali.
Claudio Vercelli
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