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recensioni di Ruffinatto, A. L'Indice del 2000, n. 04
Si racconta che nell'anno del Signore 1053 García di Nájera, figlio di Sancho il Maggiore e re di Navarra dal 1035 al 1054, decise di trasferire nella chiesa di santa María la Real di Nájera (Logroño), recentemente costruita per celebrare una vittoria del re, alcune preziose reliquie conservate nel monastero benedettino di San Millán (lontano una ventina di chilometri da Nájera). Si trattava delle reliquie del santo fondatore del convento (San Millán, appunto), le quali erano contenute in un'arca preziosa che si trovava ai piedi dell'altar maggiore dedicato alla Vergine Maria. Con l'arca a spalle gli incaricati del re discesero lungo il pendio che dall'altura di San Millán de Suso conduce a fondo valle ove scorre il fiume Cárdenas; ma, giunti in prossimità del fiume, l'arca divenne così pesante che non fu possibile trasportarla oltre. Il re don García ravvisò in questo fatto prodigioso un miracolo della Madonna e decise di far costruire in quel luogo un'altra chiesa a lei dedicata, simile a quella che era appena sorta a Nájera. Intorno a questa chiesa, poi, sorsero altri corpi di fabbrica che concorsero a formare il nuovo convento di San Millán.
Le reliquie di san Millán e, soprattutto, una preziosa immagine della Madonna situata sull'altare della nuova chiesa di Santa María divennero ben presto oggetto di profonda venerazione, limitata dapprima alla gente del luogo ed estesa poi a un buon numero di fedeli pellegrini, ivi compresi i pellegrini di Santiago. Questi ultimi, nella parte del loro cammino compresa tra Nájera e Santo Domingo de la Calzada, trovavano ospitalità nell'ostello di Azofra che i monaci di San Millán avevano costruito un po' per ragioni umanitarie e un po' anche per invitare i pellegrini a fare una puntatina fino a San Millán dove avrebbero trovato le reliquie di un santo (il patrono del convento) tutt'altro che restio a esercitare l'attività di taumaturgo, e l'effigie di una Madonna ben nota per i suoi miracoli. L'incarico di far conoscere l'uno e l'altra in termini accessibili a un vasto pubblico fu affidato nella prima metà del XIII secolo a un versificatore di qualità, un certo don Gonzalo nativo di Berceo (località prossima al convento di San Millán), prete secolare ma strettamente vincolato al convento nella sua attività propagandistica.
Escono così dalla penna di don Gonzalo, insieme ad altre opere sempre di carattere religioso, la Vida de San Millán e i Milagros de Nuestra Señora, entrambe redatte secondo i canoni della cosiddetta "cuaderna vía" (quartine monorime di alessandrini) e in un volgare castigliano ("román paladino") vicino al linguaggio indigeno ma non del tutto estraneo alle abitudini linguistiche di quanti, appartenenti all'area romanza, avevano già frequentato analoghe manifestazioni discorsive proposte da altri scrittori sotto altre latitudini.
E proprio lungo il percorso dei Miracoli di Nostra Signora ci guida ora con mano sapiente Giuseppe Tavani, collocando specularmente il testo spagnolo e la sua traduzione italiana Si avrà così modo di notare come il traduttore cerchi di estendere la sua fedeltà all'originale spagnolo non soltanto sul piano dei contenuti, ma anche a livello formale, echeggiando, nella misura del possibile, il ritmo cadenzato della cuaderna vía e rispettandone con rigore l'isosillabismo e l'uniformità rimica delle quartine. Non è difficile immaginare quanta fatica sia costata al curatore portare a compimento quest'operazione, ma si deve, nel contempo, onestamente ammettere che il risultato ottenuto rasenta in molte circostanze la perfezione, al punto che anche la versione italiana riesce a trasmettere molti di quei tratti sovrasegmentali che caratterizzano l'originale.
D'altro canto, la competenza specifica di Giuseppe Tavani nell'ambito delle letterature iberiche primitive è ben nota a tutti i filologi romanzi e ibero-romanzi, sicché non ci si stupirà di trovare splendidamente condensati nelle pagine dell'introduzione gli strumenti critici indispensabili per affrontare con chiara conoscenza di causa un poeta medievale spagnolo come Gonzalo de Berceo e il suo prodotto più significativo (i Milagros, appunto): dalle indicazioni fondamentali sull'autore e la sua opera, all'illustrazione del mestiere poetico (il mester de clerecía) di sua pertinenza; dalle osservazioni di carattere generale sulla letteratura mariana medievale, alle considerazioni specifiche sull'esperimento berceano; dalle note puntuali sulla struttura narrativa e sulla lingua del componimento al rigore filologico che ispira l'edizione del testo spagnolo. Tutto ciò ci permette di gustare nella loro salsa più appropriata i venticinque deliziosi racconti che, sotto la specie di miracoli della Vergine, Berceo presenta al suo pubblico: quello del sacristano fornicatore, per esempio, la cui anima viene contesa tra diavoli e angeli fino al definitivo intervento salvifico della Madonna; o quello del pellegrino di Santiago che su istigazione del diavolo compie un gesto di autoevirazione; o quello della badessa incinta che vede la Madonna in veste di levatrice e alcuni prelati impegnati nel sostenere l'accusa di un presunto aborto; o, infine, quello noto come "Il miracolo di Teofilo" dove si anticipa per molti versi il tema faustiano della vendita dell'anima al diavolo.
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