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Fin dalla prima giovinezza, Nietzsche cominciò a raccontarsi a se stesso, quasi provando quello strumento che, all’apice della sua vita, avrebbe dato i prodigiosi accordi di Ecce homo. I primi testi in cui Nietzsche afferma l’intenzione di «tenere un diario a cui affidare alla memoria tutto ciò che di triste o di lieto colpisce il mio cuore» risalgono addirittura all’anno 1856, quando egli aveva dodici anni. Da allora fino al 1869, Nietzsche riprenderà e abbandonerà più volte progetti di memorie, spesso col titolo La mia vita, accumulando così una serie di testi che sono per noi, oggi, preziosi. L’infanzia a Naumburg, la morte del padre, la «costrizione quasi militaresca» della «veneranda» scuola di Pforta, i primi amici, le prime letture (dall’inevitabile Schiller all’allora poco noto Hölderlin), l’apparizione di Wagner, la scoperta della filologia, il formarsi di una sensibilità per così dire sotto i nostri occhi: tutto questo troviamo nel presente volume, che contiene testi finora mai tradotti in Italia. «Come pianta io nacqui all’ombra del cimitero, come uomo in una canonica»: un velo di gravità e di malinconia copre questi primi anni, studiosi e nobili di Nietzsche: ma più volte sentiamo già presente fra le righe la potenzialità sconvolgente della sua persona – e fin dall’inizio è ben chiaro in lui quel senso della necessità e del destino che mai lo abbandonerà: «Una catena di eventi, di sforzi, nei quali vogliamo riconoscere gli accidenti del destino esteriore o una barocca capricciosità, si rivela poi una via scoperta dalla mano infallibilmente brancolante dell’istinto».
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Più lo leggo e più mi convinco che dalle secche della sua infelicità egli abbia saputo ricamare uno dei diari dell'anima più poeticamente perfetti: visione precoce e luminoso precetto, lastra d'avveramento fra le costole del sociale deforme, ignorante, lenta e profonda carezza di follia nel parto di un sentire dolorosissimo. E' favoloso leggere questa riflessione: "O sancta simplicitas! In quale rara semplicità e falsificazione vive l'essere umano! Come abbiamo reso tutto chiaro e libero e leggero e facile attorno a noi! Come abbiamo saputo sin dall'inizio tenerci la nostra ignoranza, per godere una quasi incomprensibile libertà, spregiudicatezza, sventatezza, coraggio, allegria della vita.; la volontà di sapere sul fondamento di una volontà molto più potente, la volontà di non sapere, d'incertezza, di non verità! Non come suo contrario, bensì come suo affinamento." Cosa si può ribattere a tanta spregiudicata verità, a questo sole pestato nel mortaio della cultura che tiene e regge i colpi, e brilla e ansima e infonde luce sempre, senza stancarsi, sui colti e inutili asterischi della nostra contraddizione! O Sancto Friedrich, santa miseria resa verso e fasto e assetata sembianza di un conoscere sempre sfuggente! Al punto da far diventare traccia a fuoco su ogni schiena che si dica colta quest'infezione totale tratta dai Frammenti postumi: "Bisogna deporre tutti i vincoli umani sociali e morali, fino ad essere capaci di danzare e saltare come i bambini". Oltre l'abietto trucco del sapere sempre esposto al caso, oltre lo spirito inesatto, oltre l'essere puntualmente carente e dileggiato dalle zanne dell'imprevisto, questo è terreno dove l'estremo sa respirare nella sincerità più autentica, senza falsi lustrini, senza retoriche sciatte, senza orpelli o logori stracci a coprire quello è il puro e nudo splendore di ogni frase. Libro indispensabile, tracciato umano di sofferenza e crisi, e insieme rotta verso i lidi migliori a cui un vero pensiero deve aspirare.
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