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Anno edizione: 2017
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È questo un volume autobiografico in cui l'autrice racconta al lettore la complessa vicenda familiare, che tanto le ha segnato la crescita, e lo informa senza utilizzare alcun filtro e senza inutili giri di parole, sul tema su cui si focalizzerà la narrazione: il rapporto inesistente madre-figlia. La madre in questione è Amira, donna di origini magrebine, di cui Marcello si invaghisce al primo sguardo. Il matrimonio viene celebrato in fretta, ma è l'inizio di un incubo familiare: violenza domestica, soprusi, dispetti, finzioni, opportunismo. Dalle parole dell'autrice emerge un ritratto preciso di Amira: una donna crudele, che non ha alcun istinto materno, che non vuole creare legami ed è assolutamente egocentrica e interessata solo a procurar danno agli altri, al solo scopo di ricavarne un tornaconto personale. E l'aspetto più terribile di questa storia è che la donna gode nell'incutere sofferenza fisica e morale! Leyla è cresciuta nel terrore che si prova nel veder una figura genitoriale imporsi sull'altra, non ha mai potuto provare nella sua stessa casa la sensazione di trovarsi in un porto sicuro, si è sentita rifiutata. Non è stata aiutata, inoltre, dalle istituzioni preposte, che per tutto l'iter giudiziario, che ha seguito il divorzio e l'affidamento dei figli, sono state sedotte dalla sola convinzione che esistessero donne vittima di violenza da parte di mariti/compagni. Leyla Ziliotto, che si definisce un'antifemminista, in questo libro usa un linguaggio diretto, crudo, con cui ci offre una prospettiva diversa sulla violenza domestica e sulla "favola" dell'istinto materno insito in ciascuna donna. È, pertanto, una lucida denuncia della "dittatura immorale degli stereotipi" e dell'"esterofilia militante insediata persino in menti in apparenza incorruttibili", che si rivela anche una lettura complessa e un'esperienza emozionale molto intensa anche per chi si trova ad affrontare questo "viaggio" lungo poco più di 120 pagine.
Non vedo l'ora che arrivi così lo leggo
Il pensiero del nostro tempo viene spesso spinto ad appiattirsi su pochi filoni principali, su alcune narrazioni della realtà attorno ad alcune tematiche semplificate e banalizzate: pro o contro la violenza sulle donne, pro o contro l'accoglienza degli immigrati... Il pensiero critico tende a languire: cercano di spingerti su posizioni manichee, dove il bene sta da una parte e il male dall'altra. Dunque, benvangano racconti autentici come questo romanzo autobiografico, che testimonia la genuina sofferenza di una ragazza attraverso uno stillicidio quotidiano e protratto per molti anni agito da chi siamo sempre molto refrattari a riconoscere come artefice del nostro dolore. L'ipocrisia perbenista di gran parte della società civile dalla quale siamo circondati, sommata alla vera e propria violenza istituzionale da parte di una "giustizia" per la quale le vittime sono pregiudizialmente sempre le stesse, ossia le donne e gli immigrati, vengono qui descritte con linguaggio diretto, lucido ed efficace. Grazie a Leyle Ziliotto per ricordarci in modo così convincente che non dobbiamo mai abbandonarci a giudizi superficiali e conformisti, e che la verità è quasi sempre molto diversa da quello che sembra.
Recensioni
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