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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2014
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Bisogna leggere O.Henry per capire cos'è il racconto.
Scrisse bene il grande Manganelli recensendo i racconti di questo autore, come un uomo raffinato ed elegante che con senso quasi di colpa si diletta a mangiar dolciumi in fiere di infimo ordine. Mi rendo conto che per tanti lettori, oggi leggere le brevi storie di O'Henry, risulti quasi anacronistico, cio' che resta ancora oggi e' l'arguzia, il sarcasmo, l'umorismo aguzzo, il piccolo colpo di teatro, la leggerezza di uno scrittore ormai quasi dimenticato, ma per quei lettori come me, un po' nostalgici di un passato letterario che non tornera' piu', storie come queste rappresentano sempre un piacevole divertissement, una sorta di viaggio nel tempo, quando anche un tipo di narrativa come questa, e' oro colato, rispetto alla maggior parte di cio' che viene pubblicato in questi tempi cosi' magri di bellezza artistica e letteraria.
Dalla costante di raccontare vite e personaggi anonimi l’autore ogni volta parte per portare il lettore verso una dimensione inattesa: da un contesto di miseria e difficoltà può capitare di arrivare a finali di riscatto che paiono voler divertire il lettore (anche se, almeno nel mio caso, non sempre ci sono riusciti) oppure di veder precipitare il racconto verso toni ancor più drammatici, quindi quasi tutti i racconti si dischiudono piano piano verso un finale a sorpresa. Non sempre però questo struttura finisce per dare risultati gradevoli, poiché ai molti racconti in cui l’ironia della sorte si manifesta in tutta la sua crudeltà, creando un contrasto di toni che appaga e sorprende, si affianca anche una serie di racconti al termine dei quali non ho provato sensazioni degne di nota se non una certa percezione di inutilità. E se ciò fino a un certo punto può dimostrarsi consono alla scelta di raccontare personaggi che appunto sono spesso mediocri, non ben classificabili in base alle eterne categorie del bene e del male, è altrettanto vero però che un riscatto o almeno una increspatura dovrebbero in qualche punto arrivare, secondo i miei personali gusti: ecco, non sempre ciò accade, ed il risultato in quei casi è deludente. I racconti migliori, ai miei occhi, si rivelano quelli in cui muovendo dall’infrangersi o dal drastico ridimensionarsi del cosiddetto sogno americano, l’autore ci mostra personaggi che comunque subiscono una metamorfosi, sia essa evolutiva o involutiva; oppure quelli in cui anche i nomi contribuiscono a raccontare la storia (per citarne solo uno: Soapy, personaggio sfuggente come il sapone); o infine quelli in cui l’autore si lascia andare ad un divertissement che lo mette in diretto contatto con il lettore (l’incipit di “Primavera à la carte” è davvero curioso).
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