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Terzo lungometraggio per il neo quarantacinquenne Simone Godano che questa volta abbandona il filone famigliare, dopo Moglie e marito e Croce e delizia, per narrare una quotidianità fatta d’incontri protetti e sedute collettive in presenza di psichiatri e assistenti sociali. E sarà proprio nel corso di una di queste sedute che s’incontrano due anime fra loro diverse, per indole e vissuto, ma altrettanto simili e bisognose di aiuto. Due anime che possono indifferentemente virare verso la rovina di entrambi, o in direzione del più classico dei bastoni cui sorreggersi per rimettersi in piedi. Diego, uno splendido Accorsi, è pieno di tic nervosi e una vita famigliare messa a repentaglio dall’arrivo di scatti d’ira impossibili da contenere. Clara, l’ex miss Italia Miriam Leone, che per dovere di titolo si è applicata un paio di lenti che le anneriscono gli occhi, è al contrario una donna in apparenza normale. Un’aspirante attrice con il mito di Marylin Monroe, che vorrebbe sfondare nel mondo dello spettacolo, ma che al contrario riesce solamente a mentire prima di tutto a se stessa, abbandonandosi anche lei a scatti d’ira e leggerezze che potrebbero velocemente ripercuotersi anche su chi le sta vicino. I due s’incontrano e iniziano il loro legame detestandosi, per poi scoprire che l’idea di aprire un ristorante autogestito da un manipolo di pazienti psichiatrici potrebbe essere la chiave di volta per un pronto riscatto sociale e personale. Al duo di protagonisti si aggiungono Thomas Trabacchi, nella parte di uno psicologo indulgente e con un passato burrascoso, e Marco Messeri, nella parte del comprensivo padre di Diego. Alla fine la pellicola s’accomoda nel solco della cinematografia dedicata al mondo dei cosiddetti “diversi” e del loro riscatto sociale. Un filone già ampiamente visto ma che questa volta viene declinato in maniera meno indulgente e maggiormente incentrata sui singoli e non sul collettivo.
Il regista attraverso la macchina da presa posa il suo sguardo sul disagio mentale. Leggero come una piuma, si addentra nella diversità in modo empatico. Il film, costruito con grande accuratezza, si poggia su una potente sceneggiatura, dove i dialoghi sono freschi e ogni parola è pesata. Fa capire immediatamente il tenore della narrazione, e come la musica sia un fattore determinante della costruzione narrativa. Se il film che ha un suo punto di forza nella definizione accurata dei personaggi, il racconto si muove in modo comunque corale, in un incastro di tasselli che vanno a comporre una realtà a dir poco disfunzionale. Il disagio porta isolamento, senso di inadeguatezza, frustrazione, ma attorno a queste persone che frequentano un centro diurno di supporto, c’è anche tanto affetto. Diego deve frequentare il centro perché altrimenti perderebbe la possibilità di vedere la figlia, mentre Clara fa finta di essere li per sbaglio, perché lei sta bene, è un’attrice, non ha tempo da perdere, è tutto un’equivoco. Gli attori protagonisti mostrano sullo schermo un grande affiatamento, che permette al girato di procedere armonioso, senza pause. I due dominano la scena, aprendo pian piano se stessi l’uno all’altro, scoprendo che l’unione dà la forza di andare avanti, e la felicità passa attraverso l’accettazione di stessi e dei propri limiti. In un periodo sociale complesso come quello in cui viviamo, il film proclama a chiare lettere la diversità come valore, e senza tentennamenti mostra come realtà e finzione, col dominio della vita virtuale dettata dall’abuso dei social, si confondono. Lo strapotere di una maggioranza omologata, che pensa di aver ragione solo perché maggioranza, viene qui messa in discussione, mettendo al centro l’individuo. Nelle difficoltà di queste persone ciascuno può riconoscere, a vario livello, le proprie fragilità, e prendere coscienza di come ognuno di noi a volte si nasconde a se stesso, in nome di un’accettazione collettiva che dà conforto.
Film che si regge quasi esclusivamente sull'ottima interpretazione dei due attori principali, Stefano Accorsi e Miriam Leone, senza troppo approfondire il contesto né sviluppare una trama più articolata. È quindi un'occasione persa, perché, pur con leggerezza, sarebbe stata un'occasione per parlare di temi importanti.
Recensioni
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