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L'associazione con il titolo di Gadda viene naturale sin dai primi accenni alla situazione: un fratello morto, una madre agonizzante e le riflessioni che - dal confronto/confessione con il figlio (Curzio) in questo frangente estremo - seguono inanellate da una prosa scioccantemente bella. Cosa posso dire ancora o di più di questo gigante della Letteratura? Ben poco che non abbia già espresso con molto entusiasmo nel mio commento a Kaputt. Mi viene solo da segnalare, come valore aggiunto a già tanta bellezza presente nella narrazione (che però - come è nel suo stile - non risparmia orrori), il mirabile tocco sinestetico di impronta squisitamente nabokoviana e tracce di ipnotica ecolalia bernhardiana. E come sempre, Malaparte regala un'inestimabile testimonianza: analisi e interpretazione di fatti ed espressione di teorie politiche, sociali e di pensieri forti, che descrivono e giudicano il mondo così come lui lo viveva e vedeva rivoluzionarsi davanti ai suoi occhi; c'è la preziosità dei suoi profondi e limpidi paradossi che a tante riflessioni inducono: "Per molti anni ho udito la voce della fame in tutti i paesi di Europa. Era una voce meravigliosa, una voce incantevole, piena di qualcosa di profondo, di misterioso, che era forse l'amore. È straordinario come la voce della fame sia una voce piena di amore". Questo, come Kaputt, non si dimentica più; in particolare i capitoli LETTERA ALLA GIOVENTÙ D'EUROPA e SESSO E LIBERTÀ, due saggi di mirabile lucidità, immensamente apprezzabili solo compartecipando al pensiero dell'autore senza giudicarlo o, peggio, censurarlo; cercando semplicemente - a mente aperta e libera - di comprenderlo, senza necessariamente condividerlo.
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