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Anno edizione: 2021
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Molti hanno dato poche stelle di recensione al libro ma oltre alle 4 mie precedenti, ne do una 5, in quanto è necessario rendersi conto che dal testo è evinta una chiave di lettura determinata. Ilardo come tutti i pentiti e non solo informatori, determinanti nella cattura di boss latitanti, è stato l'unico vero che avesse voluto non solo dissociarsi dalla mafia ma fidarsi di uno Stato che avrebbe dovuto sin dall'inizio proteggerlo, ed invece lo ha lasciato in balia della malvagità dei suoi 'affiliati' in divisa. Per questo il titolo del libro Omicidio di Stato è la macchia di sangue davvero indelebile insieme ad altri del tessuto sociale italiano.
Questo libro è scritto appassionatamente da una giornalista scrittrice pratica in storie di questo genere, dopo il libro su Mutolo, questo su Ilardo a mio avviso raccontata dalla figlia vuole essere un modo per rivendicare il ruolo che Ilardo ebbe da infiltrato nelle indicazioni delle giuste direttive informative che avrebbero aiutato lo Stato ad acciuffare Provenzano. Ma la parte del leone questa volta è stata fatta dallo Stato stesso, da Riccio, Mori, Subranni che lo tradirono facendolo uccidere, dopo essersi serviti delle mansioni da informatore. Se guardiamo ad altre realtà, lo Stato prima se ne serve e poi isola vendendo la vittima inconsapevole al suo destino, guarda caso la morte per mano di chi riveste competenze nella storia.
Il tema è purtroppo noto: la confusione (talvolta strumentalizzata) dei rapporti tra mafia, politica, apparati vari, massoneria, etc. La spiegazione sta nei giochi di potere o semplicemente nei profitti che potrebbero derivarne? Probabilmente si tratta di un mix di cose che vengono, non a caso, abilmente "imbrogliate". La storia è raccontata attraverso il vissuto (dagli anni ‘80) di Luana, figlia di un boss catanese. Emergono anche spaccati di vita e "abitudini" siciliane: la ospitalità e l’accoglienza (mentre sua mamma era bellunese), l’obbedienza alla famiglia, le usanze e la mentalità in un linguaggio complicato e stratificato, dai molti significati, soprattutto non verbali. Nel silenzio come forma suprema. E’ vero come dice Luana che “solo chi nasce, cresce e abita in questa terra che amiamo visceralmente, nella nostra Sicilia, può comprendere appieno...” e anche che la vita di un mafioso ha come esito il “mangi galera o mangi terra”. Storie tra le vie, i bar, le discoteche negli anni d’oro di Catania che forse continuano, e di altre località isolane. Lo sfoggio di ricchezze e dei figli come "trofei", ad es. nei battesimi tra regali sfarzosi e ricevimenti principeschi. L’educazione e la signorilità sono sempre apprezzati dai boss. Ma non il tradimento. Dopo l’uccisione del padre che con le sue confessioni fa arrestare circa cinquanta persone, tra le quali dei parenti, Luana cerca di ricostruire (perlopiù burocraticamente..) le vicende e le persone, per capire e per esorcizzare il cocente dolore,forse per sublimarlo nel papà che... “sapeva troppo. Era un ingombro”. E’ stato ammazzato "grazie" ad una fuga di notizie dalla Procura di Caltanissetta? Di sicuro sono stati “persi” gli appunti informali dell’incontro che egli ebbe, poco prima di essere ucciso, con Caselli, Tibera e Principato nel comando dei Ros a Roma...Quindi i "buoni" sono stati peggiori dei "cattivi"? Forse ha ragione Giorgio Bongiovanni: “La verità non sarà mai conosciuta fino in fondo”.
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