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Luciana Nissim Momigliano. Una vita - Alessandra Chiappano - copertina
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Luciana Nissim Momigliano. Una vita - Alessandra Chiappano - copertina
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Descrizione


La vita di Luciana Nissim Momigliano attraversa tutto il Novecento, e del secolo breve la Nissim conosce una della pagine più oscure: quella della persecuzione e della deportazione nel campo di sterminio di AuschwitzBirkenau, vissuta insieme ad alcuni amici carissimi: Vanda Maestro, che non fece ritorno, e Primo Levi, a cui Luciana sarà legata da un sentimento di amicizia per tutta la vita. Sono estremamente fecondi gli anni della formazione, a Torino, mentre frequenta la facoltà di medicina. Con l'avvento delle leggi razziali Luciana Nissim si incontra con i "ragazzi della biblioteca ebraica" e, insieme a Vanda Maestro, Ennio ed Emanuele Artom, Giorgio Segre, Lino Jona, Franco Momigliano, Primo ed Annamaria Levi, Luciana si interessa di ebraismo, di filosofia, di letteratura. Lentamente Luciana si forma una coscienza civile che la condurrà, dopo l'8 settembre 1943, insieme a Primo e a Vanda a formare una piccola banda legata a Giustizia e Libertà, in Valle d'Aosta. L'esperienza partigiana dura pochissimo, poi la cattura e la deportazione. Al suo ritorno nel luglio 1945 Luciana si getta nel lavoro e nella scrittura: testimonia anche per Vanda che non è tornata. Poi la vita riprende il sopravvento: Luciana si sposa con Franco Momigliano e intraprende la carriera di psicoanalista. Auschwitz sembra lontano. E Luciana non ne parla mai. Ma dopo la morte di Primo Levi, nel 1987, riprende a testimoniare e continuerà a farlo fino alla morte, avvenuta nel 1998.
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Dettagli

2010
15 gennaio 2010
295 p., ill. , Brossura
9788880573678

Voce della critica

Ogni psicoanalista, per i primi anni della sua attività clinica, riferisce settimanalmente a un analista esperto l'andamento delle sedute dei suoi primi casi in analisi. In psicoanalisi, questa esperienza assume il termine tecnico di supervisione e gioca un ruolo importante nella formazione del futuro strizzacervelli. Nel 1993 Luciana Nissim era il mio supervisore. Ho un ricordo molto vivo della copia dell'"Indice" di aprile di quell'anno, che si stagliava sulla scrivania di legno scuro, nel pur luminoso studio di Brera. In quel numero, al centro della recensione che Mauro Mancia aveva dedicato a L'esperienza condivisa (Raffaello Cortina, 1992; "L'Indice", 1993, n. 4), campeggiava un ritratto di Luciana Nissim a opera di Tullio Pericoli. Ricordo altrettanto bene il moto un po' civettuolo, a dispetto dell'età, con cui la decana della psicoanalisi italiana rispose alla considerazione che le avevo appena manifestato: non sembrava un ritratto, ma una caricatura forse, e la invecchiava oltre misura. In effetti, credo che Pericoli non avesse mai incontrato Luciana Nissim nella realtà, ma si fosse basato su alcune fotografie, le stesse che trovarono spazio sul "Diario della settimana" di qualche anno più tardi; immagini che mettevano troppo in risalto piccole asimmetrie e le rughe di una vita sul bel volto sorridente e spesso abbronzato.
La vita di Luciana Nissim Momigliano ha ispirato la penna puntigliosa ed esigente di Alessandra Chiappano, storica attenta del movimento di liberazione in Italia, studiosa sensibile della Shoah e della deportazione nel nostro paese. Grazie alla generosa collaborazione del figlio di Luciana, Alberto Momigliano, Alessandra Chiappano ha potuto ricorrere sistematicamente ai documenti originali, alla cui catalogazione e destinazione presso l'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Istoreto) ha così contribuito.
La figura di Luciana Nissim ha contrassegnato il XX secolo, testimoniandolo nella sua crepa più profonda, arricchendolo senza esagerazioni, grazie a un senso della discrezione, dell'autoironia, a una capacità di riflessione e di cambiamento senza pari. Come era forse prevedibile, ritrarre una figura ricca e complessa quanto mai ha presentato al suo biografo – al pari delle montagne, che non a caso hanno segnato la sua vita e quella del marito, l'economista Franco Momigliano – un problema di prospettiva: vite vissute e grandi montagne appaiono differenti, al variare del punto di vista dell'osservatore. In questo senso, è possibile affrontare questa biografia a partire dal vertice dell'ebraismo, oppure da quello della Resistenza; dal punto di vista della Shoah, oppure da quello psicoanalitico. Il lavoro di Alessandra Chiappano privilegia senz'altro il primo e il terzo di questi vertici di osservazione, ridimensionando, in piena coscienza critica, il secondo, mentre, per quanto riguarda la psicoanalisi, l'autrice si affida a testimoni competenti, lasciando tuttavia il discorso in mano ad altri.
Il testo articola nei sei capitoli di cui è costituito, geograficamente, prima ancora che storicamente. Inizia in Piemonte, fra il vercellese parentale, la Torino natia (1919) e poi universitaria (1938-1943), la Biella adolescenziale e quello spicchio di arco alpino che spazia dalle Cozie alle Pennine. Il secondo capitolo è invece ambientato a Oświęcim, nell'attuale Polonia, peggio conosciuta come Auschwitz. La terza parte è ambientata nel non-luogo brumoso del ritorno dal Kriegsgefangenenlager. Si passa quindi a Ivrea, alla luce della irresistibile utopia di Adriano Olivetti. Il quinto capitolo vede un'ulteriore piccola diaspora, a Milano (1956), in seguito alla rottura con Olivetti; e il radicamento nel capoluogo lombardo si svolge in parallelo al radicamento della protagonista nell'esperienza psicoanalitica. Il sesto capitolo vuole Luciana Nissim ritrovare appieno un altro non-luogo, quello del sentimento di appartenenza all'ebraismo, a partire dalla tragica scomparsa di Primo Levi (1987).
Da capo, dunque. La biografia è particolarmente riuscita nel ritrarre la disperata meraviglia dello scoprirsi perseguitati, improvvisamente, quando si hanno vent'anni o poco meno. Quando si cresce in una famiglia borghese, come tante, in cui di ebraico c'è ben poco: lo Shemà insegnato alle figlie, qualche vocabolo yiddish a colorire il dialetto piemontese e il non condividere il Natale con gli altri bambini. Da qui, il terremoto provocato dalle leggi razziali del 1938, e la ricostruzione fedele degli snodi di un processo psicologico, ancor prima che storico, che trovò il suo pabulum all'interno della biblioteca della Scuola ebraica di Torino. Lì poté costituirsi, infatti, un gruppo di studenti universitari che scoprirono, soltanto grazie alla nascente persecuzione fascista, alcuni aspetti di sé. Da questa consapevolezza al cercare rifugio sulle montagne amate, quando con sistematicità iniziarono le retate fasciste, il passo fu breve. Alessandra Chiappano ridimensiona parecchio l'avventura partigiana di Luciana Nissim, interrotta ben presto da una soffiata, mentre segue passo passo il percorso di vita nel lager, che a questa fa seguito, ed è amaro e doloroso oltre ogni misura. Altrettanto amara è la narrazione del rientro, non sommersa ma salvata, grazie anche all'intuizione del dichiararsi medico, ad Auschwitz. La biografia tesse poi la lenta, faticosa rinascita alla vita, al lavoro, alla testimonianza politica, alla formazione (prima), al lavoro psicoanalitico (poi), al testimoniare (infine).
Tuttavia, è la Luciana Nissim psicoanalista che ha lasciato il segno. Come ha elegantemente sintetizzato Francesco Barale, in occasione del convegno (novembre 2010) organizzato al Quirinale su di lei, si tratta di un percorso che ha conosciuto almeno tre stagioni di creatività. La prima si colloca all'inizio degli anni settanta, quando, sulla scia di Paula Heimann, Nissim sottolinea come l'interpretazione, classicamente centrata da Strachey sul transfert del paziente, rischi spesso di diventare una traduzione automatica – con l'effetto del traduttore di Google su certi testi, per intenderci – se non passa attraverso il controtransfert dell'analista. La seconda stagione è di dieci anni successiva (1984). Se anche gli psicoanalisti avessero adottato il criterio quantitativo del numero di citazioni che un lavoro riceve, sicuramente la nostra autrice sarebbe in testa a ogni graduatoria con l'articolo cult della psicoanalisi italiana, e non solo: Due persone che parlano in una stanza. In esso sono messi a fuoco, e questa volta il riferimento teorico è al contributo di Bion, oneri e onori (per utilizzare un'espressione cara a Nissim) di entrambi i membri della coppia al lavoro.
L'ultima stagione creativa vede la piena maturità di Luciana Nissim; tra i suoi compagni di viaggio in questo periodo, uno è forse meno celebrato degli altri, ma altrettanto radicale nella sua innovatività: il Casement di On learning from the patient. In questi anniLuciana Nissim riscriverà buona parte della tecnica analitica corrente, passando da forme di ascolto "sospettoso", in cui tutto quello che il paziente dice viene utilizzato contro di lui, per smontarne le difese, a forme di ascolto "rispettoso", che chiedono invece all'analista di essere responsabile per entrambi, ma onesto con se stesso fino al profondo. E siamo alla fine. Il cerchio della vita e delle opere di Luciana Nissim si chiude, nel libro come era stato nella realtà, riannodando alcuni fili di quell'area buia e incolore, che non aveva ancora trovato parole. E al lettore non resta che interrogarsi sull'intreccio tra le sue vicende di vita e le trasformazioni profonde che questa grande donna ha saputo imprimere negli anni, per usare ancora un'espressione a lei cara, al suo "modo di lavorare".
Pierluigi Politi

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