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Resta ancora molto da scavare sul Sessantotto, inteso come più ampio periodo storico, per sgretolare luoghi comuni e tabù di una contestazione trasformatasi da decenni in tradizione inibente e mito incapacitante. La Facoltà di lettere di Arezzo ha proposto spunti di ricerca che possono aiutare a scalfire immagini oleografiche e interpretazioni convenzionali. Dal filosofo Marino Bianca giungono indicazioni utili per lo storico: il Sessantotto fu il risultato emergente da un gran numero di microprocessi combinati secondo molteplici variabili. Di qui l'esito non chiaro, contraddittorio, diverso nei quattro decenni che l'hanno seguito, ognuno dei quali ha espresso una delle facce del multiforme Sessantotto. Esso fu "come una porta che chiude il passato e apre il nuovo", all'epoca indecifrabile e che oggi battezziamo postmoderno, espressione che potrebbe risultare feconda solo se declinata in modo non filosofico. Interessante, poi, la pista di ricerca proposta da Patrizia Gabrielli, che prende le mosse da uno slogan del Maggio francese: "Prendo i miei desideri per la realtà, perché credo nella realtà dei miei desideri". Dunque: trionfo della soggettività e rottura della soglia tra pubblico e privato. Il linguista Giuseppe Patota inoltre avverte: all'oppressione della norma tipica del pre-Sessantotto oggi si affianca l'oppressione della non-norma, di chi "non corregge, non insegna e lascia passare tutto". Dentro e fuori dalla scuola. Dal tu solidale siamo passati al tu della volgarità e dell'indifferenza. Come scrive Andrea Martini, il cinema può dirci molto sul Sessantotto, svelandone certa natura utopica e il legame con l'era dei mass media. Ci dice di come fu anche, se non soprattutto, una rivoluzione antropologica espressa mediante un radicale mutamento di linguaggio.
Danilo Breschi
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