(Civitanova Marche 1507 - Roma 1566) scrittore italiano. Di povera famiglia, poté tuttavia studiare a Roma e a Firenze; dal 1543 fu legato alla famiglia Farnese e condusse vita tranquilla per lo più a Roma. Nel 1553 ebbe una polemica con L. Castelvetro per questioni letterarie, che si chiuse solo nel 1560; dal 1563 dimorò in una sua villa nei dintorni di Frascati. Dopo aver esordito con la traduzione degli Amori pastorali di Dafni e Cloe (iniziata nel 1537), e con versi d’ispirazione burchiellesca e soprattutto bernesca, C. dette le sue prove maggiori con la commedia Gli straccioni (scritta nel 1544 a istanza di Pier Luigi Farnese e pubblicata nel 1582), di colorito e vivace realismo; con l’Apologia (1558), cardine della sua polemica contro Castelvetro, a difesa dell’invenzione linguistica; con le Rime (1569), importanti soprattutto per la sperimentazione tecnica e stilistica; con la traduzione dell’Eneide (condotta negli ultimi anni e stampata per la prima volta nel 1581) e con le Lettere familiari (raccolte in 2 voll. nel 1573-75).Tipica figura di cortigiano, C. s’impone per l’umore chiassoso che muove la sua commedia, ambientata nella Roma del Cinquecento, e per la ricchezza di motivi delle sue ottocento Lettere, che risultano un documento importantissimo della vita italiana del sec. XVI e che lo resero famoso quasi più della traduzione da Virgilio. In questa egli volle dar prova di quanto la lingua italiana potesse in varietà espressiva, in solennità e in scioltezza, in sonorità e in armonia, di fronte alla lingua latina. L’Eneide di C. risulta, più che altro, una trasposizione della poesia virgiliana entro l’ideale di bellezza e di decoro che sovrintende alla letteratura del tardo rinascimento; tuttavia, nonostante gli arbitri, l’eccesso di retorica e, più in generale, lo stile manierato, la «bella infedele», come fu chiamata, rimane la più importante delle traduzioni dall’Eneide e la sola che abbia saputo collegare il linguaggio della classicità antica con quello della grande tradizione in volgare.