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“JOANNIN” di Antonietta Toso è un romanzo di formazione che si svolge a cavallo fra la fine della prima guerra mondiale e la fine della seconda. L’autrice dà vita al piccolo Joannin, un ragazzo timido e insicuro come tanti degli anni trenta, ma delicato e ingenuo. Così insicuro che a nove anni “non osava avvicinarsi all'uscita del filobus se alla sua fermata non vi era qualcuno cui mischiarsi e confondersi, tanto che di solito si diceva: “Scenderò alla prossima o magari a quella dopo.” Si rammaricava. Si tormentava. “Se solo avessi seguito il mio istinto ora mi troverei fuori. Sarei dovuto scendere prima, insieme a quei signori” si diceva. “Per Joannin richiamare l'attenzione su di sé era un obbrobrio. Molto meglio camminare a lungo e inosservato nella nebbia, nella neve, nell'afosa estate anche quando zanzare grandi come pipistrelli erano là che l'aspettavano per dissetarsi del suo sangue. Joannin, aiutato dal suo amico immaginario Athos, deve superare diverse prove, confrontarsi con le sue paure, i suoi ricordi, con la realtà in cui è costretto a vivere e con il “potere” rappresentato da Ernesto e dalla complessa società di quell’epoca. Egli ama, lavora, studia seppure di nascosto, appassionatamente. Ciò non lo esonera dai tormenti adolescenziali cui deve far fronte quali i primi affanni sentimentali, le amicizie come quella sincera di Marilena, la bibliotecaria. Quindi la guerra, esperienza che lo destabilizza lasciandolo ferito nel corpo e nella mente. Antonietta Toso é stata abile a trasformare, pagina dopo pagina, un personaggio protagonista sensibile e direi “insolito” come lo è Joannin in un giovane uomo in grado di saper decidere della propria vita, di scegliere la strada da percorrere e se necessario di cambiarla. Di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Grazie all’accortezza di una narrativa fluida e consequenziale, complici i riferimenti storici, JOANNIN, assomiglia a un arazzo fatto di rilevi, trame e sottotrame. Va letto.
Ho appena terminato di leggere il primo romanzo della scrittrice Antonietta Toso ma, dalla qualità della scrittura, non si ha l’impressione che questa sia la sua prima opera. Fin dalle prime pagine colpisce il modo naturale ma potente con cui introduce il piccolo Joannin, ragazzino insicuro e balbuziente in lotta con i propri fantasmi inconsci nelle tempeste degli anni trenta della crisi economica mondiale e quindi in quelle degli anni quaranta. Vent’anni di storia nazionale del nostro paese raccontate, a tratti, crudelmente. Mi sono lasciata dunque prendere per mano dalla scrittrice e, con Joannin, ho anche io attraversato quei vent’anni di storia nazionale. Mentre leggevo “Joannin” spesso mi trovavo come seduta davanti a uno schermo, tanto le scene descritte sono chiare. Vedevo Joannin con il padre Primo, lo vedevo vestito da soldato, lo vedevo attraversare la pianura che conduce a Lubiana, vedevo Roma in fiamme che bruciava e sentivo lo scoppio delle bombe. Vedevo i morti al bagliore di una luna piena restia ad allontanarsi per dare spazio all’aurora. Vedevo e percepivo Joannin perso negli occhi della sua Catia. Tutto sembra succedere di fronte al lettore. Sono tante le vicende che mi sono rimaste impresse di questo romanzo. Ho perfino pensato che ogni fase della vita di Joannin è talmente ricca e intensa, sfaccettata, da diventare una storia a sé, che si moltiplica in molte altre storie. La verità forse sta nel fatto che c’è un minuscolo Joannin dentro ad ognuno di noi. Quando siamo nei conflitti e nei sospiri dell’adolescenza, quando aspiriamo ad occupare, in un modo o in un altro, un posto nel mondo, che davvero conti per noi. Quando finalmente ci innamoriamo, incondizionatamente, con la differenza che, in tutto questo, Joannin è solo. Senza una guida. Continuavo a chiedermi, mentre con lui percorrevo, discese e risalite:..... Continua
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