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Descrizione


La biografia curiosa e sorprendente dello scrittore più prolifico e spudorato del tempo del fascismo, i cui romanzi, umoristici e pseudomoraleggianti, incontrarono il favore del pubblico in cerca di facili e pruriginose sensazioni. Ma erano scritti comunque con una verve e una vena ironico-satirica di chi conosceva l'universo sociale in cui si muoveva.
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Dettagli

1999
248 p.
9788880897316

Valutazioni e recensioni

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C.L.
Recensioni: 4/5

Il libro definitivo su Pitigrilli: c'è tutto. Dalla nascita, alla personalità, alle tribolazioni, fino alla morte. Un testo irrinunciabile per chi voglia capire. Certo, non è l'unico testo da leggere per ottenere una visione completa, ma comunque questo è il libro più completo su di lui. Cosa importante: l'autore è molto obiettivo. Non giudica, si limita a riportare i fatti. Si legge piuttosto bene: i capitoli non sono troppo lunghi e riporta i fatti in ordine cronologico.

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Voce della critica


recensioni di Bertini, M. L'Indice del 2000, n. 02

Quando, nel 1976, ricomparvero in libreria, raccolti in un unico volume Sonzogno, L'esperimento di Pott (1929) e Dolicocefala bionda (1936), l'immensa popolarità di cui Pitigrilli aveva goduto tra le due guerre sembrava appartenere a un mondo ormai infinitamente lontano. Impegnati a bombardarsi con i fuochi artificiali di un dialogo scoppiettante di freddure, i personaggi dei due romanzi sembravano emergere semi-mummificati dai palcoscenici polverosi che avevano visto trionfare più di mezzo secolo prima il pessimismo sogghignante di Tristan Bernard e le folgoranti massime misogene di Sacha Guitry. Sotto il profilo estetico, i due testi erano un curioso oggetto di modernariato; quanto ai contenuti, se mai avevano racchiuso qualche umore corrosivo, era certo evaporato da tempo senza lasciar traccia. La maggior parte degli acquirenti del volume, credo, non andò molto oltre il saggio introduttivo di Umberto Eco, che di Pitigrilli, "l'uomo che fece arrossire la mamma", rievocava, con ironia penetrante e bonaria, i "bons mots rovesciabili" spacciati abusivamente per sulfurei paradossi, e quella facile spregiudicatezza di "anarco-conservatore" che durante il Ventennio aveva fatto sì che "un prefetto o un questore qua e là" sequestrassero l'autore di Mammiferi di lusso, mentre "i federali lo leggevano di nascosto ridacchiando maliziosi". Il ritratto di Eco si atteneva con rigoroso scrupolo al Pitigrilli romanziere, alle sue successive reincarnazioni di narratore in un primo tempo pruriginoso e dannunziano, poi risentito moralista sempre in bilico tra cinismo e indignazione, e infine, dagli anni quaranta, convertito a un compunto cattolicesimo venato di spiritismo; le vicissitudini biografiche del vero Dino Segre, morto senza clamori l'8 maggio del 1975, restavano fuori dal quadro. Quel che interessava al critico era l'immenso ascendente esercitato per più di un decennio sul pubblico dallo stile del geniale mistificatore che aveva saputo trasformare il nome di una pelliccia - il petit gris - in uno pseudonimo indimenticabile, sinonimo di trasgressione per centinaia di migliaia di lettori del mondo intero.
Ma Dino Segre / Pitigrilli che, sopravvissuto melanconicamente ai suoi successi, aveva continuato dagli anni quaranta agli anni settanta a produrre testi giornalistici e narrativi del tutto inosservati, non era uscito dalla scena letteraria circondato soltanto da un'aura di desueto, e tutto sommato innocuo, erotismo; se, affermando con sicumera che "la Senna è un fiume per metà composto con l'acqua dei bidé di prostitute ufficiali e clandestine" aveva fatto arrossire le nostre mamme, purtroppo i nostri babbi, i nostri zii e molti dei loro amici avevano da rimproverargli ben più pericolose e veritiere asserzioni. È infatti proprio Pitigrilli che nel 1934, infiltratosi, grazie alla sua fama di anticonformista e frondeur, tra gli intellettuali antifascisti, redige dettagliati rapporti all'Ovra tanto sulle attività dei fuorusciti a Parigi, quanto su quelle del gruppo che, raccolto intorno a Vittorio Foa e al pittore Carlo Levi, agisce clandestinamente a Torino. Sono le accuratissime, quasi maniacali, note di Pitigrilli che portano, il 15 maggio del 1935, all'arresto di una cinquantina di antifascisti torinesi: Michele Giua, professore di chimica, e Vittorio Foa, che saranno entrambi condannati a quindici anni di carcere, identificano quasi immediatamente l'agente provocatore che li ha venduti e mettono in guardia contro di lui amici e parenti. Da quel momento, nonostante non gli venga meno la buona volontà, che lo induce a offrire all'Ovra i suoi servigi persino gratis, Pitigrilli, come spia, è bruciato: con rara ingratitudine, il regime mette al bando i suoi libri e Mussolini ignora le sue dediche lusingatrici e i suoi pressanti appelli per essere protetto contro le leggi razziali. Sfuggirà alla deportazione riparando in Svizzera, dal '48 al '58 vivrà in Argentina affermandosi come giornalista di successo e - afferma una tenace leggenda - come ghost writer di Evita Peron; poi, un lungo tramonto tra Torino e Parigi, l'affetto fedele di una battagliera moglie-avvocato che rifiuta di credere ai suoi legami con l'Ovra, gli ultimi scritti intrisi di devozione in cui, molto raramente, s'intravede l'unghia del polemista brillante d'altri tempi.
La triste parabola di Pitigrilli era in gran parte già nota: Ernesto Rossi, nel suo Una spia del regime (Feltrinelli, 1955), e Domenico Zucàro in Lettera di una spia (Parenti, 1961) avevano da tempo riprodotto, su questo aspetto della vita dello scrittore, documenti irrecusabili. Mancava però di Dino Segre una biografia esauriente; Enzo Magrì ha ora colmato questa lacuna con un lavoro notevole per equilibrio e ricchezza documentaria. I primi capitoli colpiscono per la straordinaria somiglianza tra l'ascesa del giovane Segre - lanciato da una già matura Amalia Guglielminetti - e la carriera del Bel-Ami di Maupassant: conquistare, grazie alla protezione femminile, il mondo del giornalismo è, per colui che l'antica musa di Gozzano definisce "l'efebo biondo", una facilissima impresa. Ma tra la poetessa e il suo pupillo, dopo sette anni di complicità erotico-letteraria, nasce una rivalità inevitabile: Amalia finirà per denunciare l'ex-amante come oppositore del regime, esibendo documenti falsificati, mentre Pitigrilli, per parte sua, orchestrerà contro di lei feroci e volgarissime campagne diffamatorie. Un altro sodalizio interessante da esplorare sarebbe stato quello, nei primi anni trenta, tra Pitigrilli e Liala: purtroppo è liquidato in una riga, e il cognome della scrittrice è vittima di un refuso (Cambesi in luogo di Cambiasi).

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