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Anno edizione: 2021
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Il racconto è pure piacevole, nonostante i numerosi errori storici nei nomi, negli eventi e nelle date. Ciò che veramente mi ha infastidita è l'isacentrismo imperante, che ha portato l'autrice a occultare i difetti d'Isabella e ad attribuirle viceversa i pregi che appartennero in verità soltanto alla sorella Beatrice: i caratteri delle due sorelle sono infatti invertiti. Nel romanzo Isabella è quella coraggiosa, impegnata, che ama cavalcare e cacciare; Beatrice la donnetta frivola, superficiale, paurosa, stupida e pure puttanella, utile solo a far figli. Nella realtà sappiamo bene che era Beatrice quella esagitata, avventurosa, senza paura, cavallerizza e cacciatrice eccellente, quella sempre coinvolta da marito nel governo e nella politica; Isabella invece era la donna delicata, paurosa e certamente non attiva al fianco del marito. Sintomatica è una frase, che voglio citare: "Isabella non avrebbe mai reagito come la sorella, non ne sarebbe stata capace [di essere superficiale], mentre sarebbe stata in grado di bardarsi d'armatura e guidare le truppe". Vogliamo scherzare? Fu Beatrice quella che nel 1495 andò sul campo di battaglia di Vigevano a incitare le truppe contro il nemico, mentre il marito si nascondeva sotto al tavolo. Isabella non fu una virago e non volle mai esserlo. Ferrante d'Aragona nel romanzo considera addirittura Isabella l'unica nipote degna di lode. A parte che Isabella non visse mai a Napoli, se non per tre soli mesi all'età di tre anni, Ferrante non ebbe mai alcun rapporto con lei. La sua predilezione era tutta per Beatrice, che amava come una figlia e dalla quale volle a stento separarsi. Un amore filiale così bello è stato trasformato in indifferenza dal romanzo: Ferrante è anzi il primo a considerare Beatrice una svampita priva di attrattive. L'amore di Ludovico il Moro per Beatrice è mostrato, di questo rendo merito all'autrice, ma permane sempre in lui quel sottofondo di rammarico per non aver sposato Isabella, che in verità non ebbe mai.
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