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Si possono enumerare molti motivi per i quali questo libro di Faeti è “il” capolavoro della critica fumettistica italiana: innanzitutto, il tono; Faeti scrive molte volte in prima persona, mettendo da parte quel noi accademico che sa tanto di muffa e di autocompiacimento. Faeti racconta le sue esperienze di lettore, ma non fa dell’autobiografismo: descrive un’epoca vissuta, e lo fa con i mezzi della sociologia della cultura. Poi, le sue interpretazioni, anche quelle più ardite, sono sempre affascinanti e sottili: si vede che l’autore ha molto letto, molto studiato ma anche, per fortuna, molto sognato. Infine (e con questo non si esauriscono affatto i grandi meriti di questo eccellente saggio, ormai un classico), questo libro mostra ai signori della cultura alta quanto è importante analizzare la cultura popolare o di massa. Faeti non commette l’errore di sopravvalutare artificialmente l’argomento del suo studio, ma nemmeno si vergogna, e giustamente, di trovare in esso significati (simbolici, sociologici, storici) profondi e culturalmente “densi”. A dire il vero, con la tipica cautela del grande studioso e con un pizzico di pudore, l’autore si chiede se tutti quei significati e quelle relazioni (il new deal, Dickens, Capra) siano davvero rapportabili a Topolino, o non siano invece sovrapposizioni nate dalla mente del critico; Faeti sa bene la risposta: come un grande poeta crea i suoi precursori, un grande critico contribuisce a creare, se non l’oggetto del suo studio, almeno la percezione che di esso i lettori avranno da un certo momento in avanti.
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