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scheda di Pieri, M., L'Indice 1995, n. 8
Dopo lunghi anni di frequentazioni con l'autore, e con il contesto circostante dello spettacolo tardo-ottocentesco, Roberto Alonge consegna a questo saggio i termini fondamentali del caso Ibsen, illuminando il senso rivoluzionario del suo teatro alla luce della controversa fortuna europea di cui fu oggetto. Ne emerge il profilo di un drammaturgo interamente ottocentesco, che per primo riscatta il dramma dal consumismo evasivo alla francese, per farne un impegnativo spazio di riflessione critica, attraverso la pratica della "discussione" fra i personaggi, costretti ad analitiche disamine di sé e delle ragioni del proprio agire negli ex salotti borghesi delle 'pièces bien faites', poco prima che Freud, più drasticamente, li faccia stendere sul suo lettino. Dopo esordi tardo-romantici, Ibsen scopre il realismo e poi sposta il suo inquieto obiettivo dagli spettri sociali ai mostri dell'inconscio, ma subisce ogni sorta di critica e di fraintendimento, venendo accusato, di volta in volta, di oscurità, o di scandalo. È Bernard Shaw uno fra i primi a capirlo e ad apprezzarlo, finché si impadroniscono della sua opera i registi francesi e russi del naturalismo, attratti dall'apparente determinismo delle sue tesi, e i primi esponenti della nuova cultura simbolista, attenti a cogliere e valorizzare l'oltre oscuro a cui rimandano i suoi testi. Il successo arriva tardi per lui, quando ha ormai varcato la soglia dei sessant'anni, con un destino che lo accomuna, curiosamente, ad altro grande delle scene altrettanto ostico e controverso: Luigi Pirandello.
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