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Dice un proverbio arabo che guardare con i propri occhi vale più che aver letto mille libri. Davanti alla ricchezza di spunti formativi, informativi, divertenti, teneri, ironici con cui l’autore ripercorre l’esistenza della figlia di Scipione l’Africano – moglie di Sempronio Gracco, suocera di Scipione Emiliano e madre dei Gracchi, i "gioielli" in questione, ragazzini bene educati che si chiamavano Tiberio e Caio –, si sarebbe in effetti
recensioni di De Paulis, M. L'Indice del 1999, n. 09
Al di là di qualche (raro) compiacimento, la struttura è interessante proprio per la varietà con cui è dipinto il mondo dell’epoca. Tra divulgazione creativa di una documentazione precisa e abbondante, brani da manuale, brevi stralci teatrali, ecco Cornelia con la schiava Torcula, che parla greco purissimo e conosce la mitologia; ecco il giorno della fine di Tiberio, con il ripetersi dei presagi, il richiamo del pedagogo al valore della ragione, e Tiberio che va all’Assemblea e quindi a morire, ecco i commenti dopo il fattaccio, ecco la fuga tragica e dolorosa di Caio braccato dall’alta finanza vincente, evocati più che raccontati.
È proprio della creatività proporre schemi insoliti. Qui l’autore chiama il lettore a guardare assieme a lui. Scienziato e narratore partono dalle stesse fonti, solo la logica è diversa, e non è detto che chi prescinde dai singoli esseri umani sia più attendibile di chi ne fa solida base per ritrarre il divenire dei medesimi. Ma poiché solo al supermercato non si può fare la spesa senza conoscere la collocazione dei generi, è secondario stabilire se abbiamo davanti un romanzo, un saggio, un testo di teatro, un lavoro di ricerca, di ricostruzione, di proposta, o un fine divertissement, perché la lettura è ugualmente godibile, malgrado i troppi refusi. Contro i quali si può usare la penna, in un piacere simile a quello di spiaccicare la zanzara che ti ha punto, legittima vendetta contro il revisore delle bozze che ha ignorato il suo dovere.
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