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Lungo racconto, amaro e perfetto, Gioco all’alba (1927) narra la vicenda di una creatura peculiarmente schnitzleriana: Willi, un ufficiale snello, piacente, leggero, che ama la vita e le donne, purché non esigano troppo da lui. Le amanti, il gioco, i colleghi, gli spettacoli, i soldi, le uniformi si alternano nella sua mente in una tenue ma costante fantasticheria, che aggira accortamente gli ostacoli del reale. Ma c’è un momento in cui il destino, come risvegliandosi da una ingannevole sonnolenza, comincia a stringere anche per lui i suoi nodi: da quel momento le ore di Willi precipitano verso un’alba livida e irreparabile. Una lunga partita a carte, con i suoi precedenti e le sue conseguenze, basta qui ad assumere i tratti antichi della fatalità. Le sorti ruotano, le parti si rovesciano, i fatti vorticano intorno al protagonista. Con magistrale colpo di scena, quando la stretta è già divenuta soffocante, Schnitzler fa balenare, accanto al denaro, l’amore, l’uno nello specchio dell’altro. E la reciprocità erotica svela qui il suo volto segreto: quello della più sottile crudeltà. Come in Doppio sogno e Fuga nelle tenebre, che appartengono allo stesso giro di anni, Schnitzler compendia in queste pagine, infallibilmente scandite, tutta la sapienza della sua arte.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Autore in cui lo Zeitgeist viennese di inizio XX secolo si può cogliere in tutta la sua magnifica malinconia. Il racconto in Schnitlzer giunge a vette insuperate. La concisione del racconto non ne pregiudica, ma anzi ne sottolinea la perfezione: le drammatiche vicende dell’ufficiale Willi, viveur donnaiolo dedito al gioco, vanno di diritto a collocarsi tra le vette della produzione schnitzleriana.
libretto che si legge tutto di un fiato. ottimo
Come già si evinceva dall'autobiografia 'Giovinezza a Vienna' (magnifica copertina!), Schnitzler/Willi non è che avesse proprio una vita frenetica, piena di incombenze e responsabilità, quindi ci intrattiene con i suoi vagolamenti dentro e fuori Vienna, a tempo perso, su e giù dai fiaccheri reinventando, di ora in ora, il modo migliore di farsela passare: lo trovo un po' irritante, ma non so perché. In fondo la maggior parte dei personaggi di una certa letteratura di quel tempo (che apprezzo moltissimo), non c'avevano una mazza da fare dalla mattina alla sera (il Marcel di Proust non si spaccava certo la schiena) se non mettere insieme una matiné con un dîner o una soiré e saltare da un letto all'altro. In Gioco all'alba, Schnitzler gioca a fare Il giocatore alla Dostoevskij, ma ne vien fuori un Dostoevskij sciapo e stupidotto. Niente. Nonostante la scrittura lucida, asciutta, formalmente impeccabile e la trama quasi avvincente, non sono riuscita a superare il fastidio per quel senso di superficialità e di banalità dei personaggi e dell'autore stesso lasciatomi dalla scellerata autobiografia che temo abbia compromesso irrimediabilmente il mio rapporto con Schnitzler e la curiosità per tutta la sua produzione. Amen.
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