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Un libro geniale per costruzione ed atmosfere. Da leggere rigorosamente in una sera, max 2, perché le due storie che si intersecano (un viaggio in auto al ritorno dalla discoteca di fine anni 90 e un viaggio in bicicletta di una staffetta partigiana del 45, entrambi tra le nebbie di Comacchio) costringono ad arrampicarsi sugli specchi per capire che cosa abbiano in comune. Verso pagina 70 i pezzi del puzzle si compongono fino a formare un unico corpo che respira, i personaggi si rivelano tutti collegati, apparentati, accumunati da qualcosa, che credo di avere individuato come voglia di vivere ed esorcizzare la paura, anche se può essere tutt'altro. La vera forza di questo libro è la scrittura, sbocconcellata, imbevuta di metafore, con frasi che restano sospese ed altre che cadono a terra come macigni. Gap è il salto temporale, il blocco del respiro, lo scalino tra passato e presente, ma anche l'attimo in cui la ruota gira e va tutto quanto a puttane. (cit: "ma la musica si mise a frantumarle ogni pensiero, proprio quando si stava facendo chiara la parvenza di un altrove, un altrove dappertutto, appena fuori dal banco di nebbia, un altrove crudele come un'immagine messa a fuoco, fatto di persone e cieli e paesaggi sinuosi, fatto di vite passate, di povertà conclamate, di generazioni trapassate, di giornate perse a rubare raccolti, a sottrarre terra all'acqua, ad accumulare per i tempi buoni. Non lì. Non dentro alla biturbo, che era l'approdo, che scriveva la parola fine, che era i tempi buoni, finalmente giunti ed altri tempi del tutto dimenticati. Non lì. Nessun debito, solo crediti, solo giocarsi quello straccio di esistenza"). Voto 9 e mezzo.
Recensioni
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Parlare di questo gap in una pagina dedicata ai gialli può sembrare fuori luogo: non siamo di fronte a un poliziesco, ma a un’atipica storia di fantasmi, generata dalla spessissima nebbia che in un sabato notte del marzo 1995 avvolge autostrada e campagne non lontano da Ferrara.Proprio in quella nebbia, in una sorta di volontario accecamento autodistruttivo, tre ragazzi – Gino, Sonia, Rossella – lanciano un’auto veloce e costosa in un viaggio insensato, che in realtà è un rito funebre: ripercorrono la strada su cui è morto, un anno prima, l’amico inseparabile di Gino,Robi, che era anche il fedifrago e riluttante innamorato diRossella.Tra alcool, pasticche e telefonini, tra frammenti di memoria e smozzicate, afasiche conversazioni, l’assente Robi invade il presente degli amici sopravvissuti: metaforicamente, il suo fantasma pesa sulle loro vite.Ma non è l’unico: incongrua, emerge dal buio una ragazza in bicicletta, con gli scarponi, emergono i partigiani che la aspettano, che con lei dovrebbero portare a termine un’azione di guerra, e i nazisti che la ammazzeranno.Nel non-luogo della nebbia, le coordinate spazio-temporali hanno perso senso e valore, e una notte del 1945 e una notte del 1995 si sono misteriosamente intrecciate e sovrapposte.Siamo di fronte a una sorta di danza macabra in cui le morti atroci e remote della guerra sembrano specchiarsi in quelle, insensate e recenti, delle stragi del sabato sera.Da questa idea di fondo – del tutto estranea al giallo – Fois ricava una struttura narrativa che, invece, ricorda molto da vicino i complessi congegni di storie parallele messi a punto proprio da un giallista, Andrew Klavan, in qualcuno dei suoi polizieschi migliori (L’ora delle bestie, Tea, 1995;Prima di mezzanotte, Longanesi, 1996).Così come in Klavan ci troviamo a seguire il disegno di esistenze reciprocamente estranee, che solo al termine del racconto troveranno un punto di contatto, anche in gap le vicende di tre generazioni, raccontate a sprazzi, con calcolata discontinuità, finiranno per confluire in un mosaico di sorprendente e dolorosa coerenza.Un sotterraneo reticolo di corrispondenze collegherà, lette le ultime pagine, una serie di vite che il romanziere, in un primo tempo, aveva presentate come irrelate: il fabbro erculeo e il professore ebreo, il padre fascistissimo e la figlia partigiana, la madre di famiglia e il buon tedesco da lei ospitato...La tecnica del poliziesco e il senso tragico della storia avranno lavorato qui, non certo per la prima né per l’ultima volta, nella stessa direzione. Mariolina Bertini
scheda di Bertini, M. L'Indice del 1999, n. 07
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