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Anno edizione: 2020
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E’ un tomo dicotomo: una metà dedicata alle esplorazioni dei poli, soprattutto l’Antartide, l’altra metà è un racconto dei problemi di vita dell’autore. Nel primo caso vengono proposti racconti succinti delle imprese di Amundsen, Scott, Cook e Shackleton. Non credo che piluccando qua e là su Internet (… e altri siti, Dulcamara “udite, udite o rustici, in L’Elisir d’Amore) e affastellando il tutto in un tomo si possa fare letteratura. Al più ne può sortire un almanacco o uno zibaldone (senza ingiuria a Leopardi). Per di più, la descrizione delle titaniche imprese ai poli è micragnosa e oltremodo carente (non cita neppure The Last Place on Earth di Huntford, racconto insuperabile e magistrale). E anche la descrizione dei cristalli di neve è ben modesta. Non è quindi un trattato di glaciologia. Forse accortasi di questo, la Kopf finisce il suo romanzo con un trattato di vulcanologia, descrivendoci un suo viaggio in Islanda. L’altra metà di questo pseudo romanzo è dedicata alle sue paturnie esistenziali, sciorinate coram populo, forse pensando di superarne i traumi senza dover ricorrere alla psicanalisi. Non c’è nulla che correli il suo tran-tran esistenziale con le sorti del suo paese (la Spagna) ed eventuali problemi socio-economici. Ben due capitoli sono dedicati a un’escursione sui Pirenei, con annotazioni banali; sarebbe stato molto più pregnante se avesse ritracciato il percorso doloroso dei >500 mila profughi che nel febbraio 1939 fuggirono dalla dittatura franchista e si rifugiarono in Francia per essere rinchiusi in campi di concentramento! La Kopf stessa ha profondi dubbi sul suo scritto: “mi chiedo quale sia il viaggio, o l’ordito, che regge questa narrazione” (p. 177) e non trova risposte. Non esita però a spendere alcune pagine su come trasformare la merda in oro, un processo alchemico che i chimici del rinascimento avevano focalizzato sullo studio (furioso) della transizione del piombo in oro.
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