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Lo storico Ernst Bloch evidenziò l’esistenza di due anime del Rinascimento: un’anima quantitativa, razionalista, incarnata da Galilei e da Keplero, e un’anima qualitativa, utopica e magica, incarnata da Bruno, Bohme e Paracelso. Gerhard Dorn merita di essere ascritto tra i rappresentanti di quest’ultima. Medico, farmacologo, scrittore di alchimia e di ermetismo, l’autore del testo è passato alla storia come il più importante dei discepoli di Paracelso. Fu attivo in Germania e in Svizzera nella seconda metà del XVI secolo. A lui dobbiamo la pubblicazione del Dictionarium Theophrasti Paracelsi, opera complessa sulla terminologia adottata dal medico e filosofo di Einsiedeln, importante per la piena comprensione del pensiero paracelsiano, e della raccolta Theatrum chemicum, che vide la luce nel 1659. In essa rientrano De philosophia meditativa, De philosophia Chemica ad meditativam comparata, Congeries paracelsicae e altri sei scritti. Il filo conduttore di tutta l’opera di Dorn è la convinzione che l’alchimia fisica, quella dei cercatori d’oro, non possa sussistere senza quella spirituale, elevata al rango di prassi ascetico-devozionale. L’opus magnum è quindi a suo avviso una sorta di ascesi, che porta il filosofo attraverso la trasmutazione filosofica all’oro dei filosofi, ossia a una condizione di equilibrio e di perpetua felicità dell’animo. Questo gradino, l’ultimo nel processo formativo del saggio, è frutto del rifiuto della turpitudine del corpo e della separazione completa e volontaria da esso dell’anima. La separazione dell’intelletto dal corpo è possibile solo grazie alla filosofia meditativa, che è fondata sul desiderio innato nell’uomo di perfezionamento spirituale. E’ il primo di tre livelli di elevazione spirituale e richiede l’impegno del saggio, ma anche l’intervento della Grazia divina. Il testo è interessante, perché getta una luce nuova su una parte importante del pensiero rinascimentale, per troppo tempo misconosciuta e accantonata. La storia va studiata con l'approccio dell'antropologo.
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