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Figlio di vetro - Giacomo Cacciatore - copertina
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Figlio di vetro

Descrizione


Giovanni ha nove anni quando si accorge che gli amici di suo padre, alla Pasticceria Francese, possono ottenere tutto con uno schiocco delle dita. Anche un televisore a colori, che nel 1977 è pura magia. Ma il prezzo da pagare è molto alto. Tanto alto che alcune persone muoiono. Siamo a Palermo, alla vigilia di una vera e propria guerra che culminerà molti anni dopo con la strage di Capaci: negli occhi di Giovanni, spaventati e curiosi, scorrono ogni giorno le immagini di un lungo telefilm troppo realistico. E se Fonzie non sempre riesce a saltare dieci bidoni con la moto, gli elicotteri della Polizia fanno più rumore fuori che dentro il televisore.
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Dettagli

2007
6 febbraio 2007
163 p., Brossura
9788806185626

Valutazioni e recensioni

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Bibliofila
Recensioni: 4/5

La mafia vista con gli occhi di un bambino, poi ragazzo, che in una famiglia mafiosa ci è nato e che si ritrova costretto ad imparare da solo a distinguere tra bene e male ma, soprattutto, a capire che quella distinzione non è mai così chiara. Originale e interessante, sicuramente da leggere.

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Paolo
Recensioni: 5/5

Toccante, sorprendente, di piacevolissima lettura. Una prima parte - la mafia filtrata dagli occhi curiosi e innocenti di un bambino - strepitosa. Finalmente un libro che affronta il tema della mafia senza retorica, prosopopea e, soprattutto, senza falsa moralità.

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neasy
Recensioni: 4/5

titolo decisamente emblematico ed evocativo, racconto dal ritmo agile e privo di tempi morti,e una storia coinvolgente fino alla fine.Decisamente un passo avanti rispetto alla precedente prova letteraria, dal finale un po'stereotipato.E'evidente che l'autore riesce ad essere molto piu' efficace e convincente quando affronta tematiche realistiche . p.s.vi invito a leggere anche i suoi racconti.

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Voce della critica

L'ultimo romanzo di Giacomo Cacciatore, alla seconda prova narrativa, è la descrizione di un ambiente, quello palermitano degli ultimi decenni, ad alta densità mafiosa, intriso di omertà, visto con gli occhi di un bambino, di cui l'autore adotta il punto di vista. Espediente narrativo che consente di caricare di senso, per via dapprima di una difficile decifrazione, il suo sguardo interrogativo e infine di scoprire il velo su tutta una serie di situazioni e relazioni.
Il tema della mafia è raccontato nel romanzo in maniera irrituale, antiretorica. Lo stile di scrittura, contratto e franto, coglie e riproduce la fitta trama di allusioni, gesti rituali, silenzi dell'ambiente in cui si trova a crescere il ragazzo, il Figlio di vetro del titolo. Da intendersi sia come figlio di Vetro Vincenzo, vice-sovrintendente di polizia colluso con la mafia, sia (con gusto per l'ammicco onomastico, caro all'autore e già presente nel suo primo romanzo) nel senso di fragile, ma anche potenzialmente tagliente una volta in frantumi, scheggiatosi.
Il rapporto con il padre è centrale (dopo che nel primo romanzo era stata la madre, ultrapossessiva nei confronti del figlio, la protagonista), dentro il tema più grande della famiglia. Perché oltre alla famiglia di appartenenza (il figlio Giovanni, la moglie debole psicologicamente, confinata nella sua stanza), il padre Vincenzo ha altre due famiglie: una fuori dal matrimonio ufficiale e un'altra, dentro cui è rimasto invischiato, è la famiglia mafiosa, l'onorata società che s'incontra alla pasticceria Francese.
Il rapporto padre-figlio si propone così come un tema cruciale per raccontare (e decifrare) l'ambiente siculo-mafioso. Come già in un altro libro recente, molto bello, sempre di un siciliano delle ultime generazioni, Vittorio Bongiorno, Il bravo figlio (Rizzoli, 2006). Si dovrebbe pure registrare, dopo aver letto i due romanzi, una mutazione sociale epocale nei rapporti tra padre e figlio, in Sicilia, se confrontati a quanto diceva Leonardo Sciascia, che li vedeva improntati da sempre e ancora ai suoi tempi a un'assoluta mancanza di confidenza: tutto il contrario di quelli raccontati ora, non diversi, giusto per fare un esempio, da quelli invalsi nella società americana. Ma viene da chiedersi: sarà vero? O non sarà, piuttosto, una suggestione letteraria con poca aderenza alla realtà? Forse nel tentativo, certo nobile, di svincolarsi da tanti luoghi comuni?
Il padre continua a ripetere al figlio, nel romanzo, che "il male se non lo vedi, non esiste", tentando di chiudergli gli occhi, ma il figlio ha un'irresistibile vocazione contraria. Il romanzo si apre con il desiderio del figlio di avere un televisore a colori, a suo modo una finestra sul mondo (era il 1978, i primi tv a colori, vigilia dei mondiali di calcio in Argentina). Il modo in cui quell'ambito televisore dal negozio prenderà la strada di casa sarà il primo di una serie di comportamenti mafiosi con cui il bambino, crescendo, si troverà suo malgrado a convivere. Il romanzo si chiude, come a chiudere un cerchio, con le immagini della strage di Capaci trasmesse dalla tv.
  Marcello D'Alessandra
 

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Conosci l'autore

Giacomo Cacciatore

1967, Polistena (RC)

È nato a Polistena (RC) nel 1967, ma vive da sempre a Palermo. Scrittore e giornalista, collabora come narratore con l’edizione cittadina de La Repubblica, per la quale ha scritto due romanzi gialli a puntate e quasi duecento storie al confine tra cronaca e letteratura. Ha pubblicato due raccolte di racconti: "Nostra signora dei sospiri" (1993) e "Palermo, amore e coltelli" (2002). Ha partecipato alle antologie: "Portes d’Italie" (Fleuve Noir, 2001), "14 colpi al cuore" (Mondadori, 2002), "Duri a morire" (Dario Flaccovio, 2003) e al romanzo collettivo "Le tre bocche del drago" (Larcher, 2004). Ha scritto il saggio "Il terrorista dei generi – Tutto il cinema di Lucio Fulci" (Un mondo a parte, 2004) con Paolo Albiero, aggiudicandosi il premio "Efebo d’Oro speciale"....

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