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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2007
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
La mafia vista con gli occhi di un bambino, poi ragazzo, che in una famiglia mafiosa ci è nato e che si ritrova costretto ad imparare da solo a distinguere tra bene e male ma, soprattutto, a capire che quella distinzione non è mai così chiara. Originale e interessante, sicuramente da leggere.
Toccante, sorprendente, di piacevolissima lettura. Una prima parte - la mafia filtrata dagli occhi curiosi e innocenti di un bambino - strepitosa. Finalmente un libro che affronta il tema della mafia senza retorica, prosopopea e, soprattutto, senza falsa moralità.
titolo decisamente emblematico ed evocativo, racconto dal ritmo agile e privo di tempi morti,e una storia coinvolgente fino alla fine.Decisamente un passo avanti rispetto alla precedente prova letteraria, dal finale un po'stereotipato.E'evidente che l'autore riesce ad essere molto piu' efficace e convincente quando affronta tematiche realistiche . p.s.vi invito a leggere anche i suoi racconti.
Recensioni
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L'ultimo romanzo di Giacomo Cacciatore, alla seconda prova narrativa, è la descrizione di un ambiente, quello palermitano degli ultimi decenni, ad alta densità mafiosa, intriso di omertà, visto con gli occhi di un bambino, di cui l'autore adotta il punto di vista. Espediente narrativo che consente di caricare di senso, per via dapprima di una difficile decifrazione, il suo sguardo interrogativo e infine di scoprire il velo su tutta una serie di situazioni e relazioni.
Il tema della mafia è raccontato nel romanzo in maniera irrituale, antiretorica. Lo stile di scrittura, contratto e franto, coglie e riproduce la fitta trama di allusioni, gesti rituali, silenzi dell'ambiente in cui si trova a crescere il ragazzo, il Figlio di vetro del titolo. Da intendersi sia come figlio di Vetro Vincenzo, vice-sovrintendente di polizia colluso con la mafia, sia (con gusto per l'ammicco onomastico, caro all'autore e già presente nel suo primo romanzo) nel senso di fragile, ma anche potenzialmente tagliente una volta in frantumi, scheggiatosi.
Il rapporto con il padre è centrale (dopo che nel primo romanzo era stata la madre, ultrapossessiva nei confronti del figlio, la protagonista), dentro il tema più grande della famiglia. Perché oltre alla famiglia di appartenenza (il figlio Giovanni, la moglie debole psicologicamente, confinata nella sua stanza), il padre Vincenzo ha altre due famiglie: una fuori dal matrimonio ufficiale e un'altra, dentro cui è rimasto invischiato, è la famiglia mafiosa, l'onorata società che s'incontra alla pasticceria Francese.
Il rapporto padre-figlio si propone così come un tema cruciale per raccontare (e decifrare) l'ambiente siculo-mafioso. Come già in un altro libro recente, molto bello, sempre di un siciliano delle ultime generazioni, Vittorio Bongiorno, Il bravo figlio (Rizzoli, 2006). Si dovrebbe pure registrare, dopo aver letto i due romanzi, una mutazione sociale epocale nei rapporti tra padre e figlio, in Sicilia, se confrontati a quanto diceva Leonardo Sciascia, che li vedeva improntati da sempre e ancora ai suoi tempi a un'assoluta mancanza di confidenza: tutto il contrario di quelli raccontati ora, non diversi, giusto per fare un esempio, da quelli invalsi nella società americana. Ma viene da chiedersi: sarà vero? O non sarà, piuttosto, una suggestione letteraria con poca aderenza alla realtà? Forse nel tentativo, certo nobile, di svincolarsi da tanti luoghi comuni?
Il padre continua a ripetere al figlio, nel romanzo, che "il male se non lo vedi, non esiste", tentando di chiudergli gli occhi, ma il figlio ha un'irresistibile vocazione contraria. Il romanzo si apre con il desiderio del figlio di avere un televisore a colori, a suo modo una finestra sul mondo (era il 1978, i primi tv a colori, vigilia dei mondiali di calcio in Argentina). Il modo in cui quell'ambito televisore dal negozio prenderà la strada di casa sarà il primo di una serie di comportamenti mafiosi con cui il bambino, crescendo, si troverà suo malgrado a convivere. Il romanzo si chiude, come a chiudere un cerchio, con le immagini della strage di Capaci trasmesse dalla tv.
Marcello D'Alessandra
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