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«Se non ci provi come puoi leggere? Se non leggi come puoi crescere? Se non cresci come puoi esistere?» L’immagine di Giuditta e Oloferne di Caravaggio ci presenta la raccolta, La femmina della specie, composta da 9 racconti scritti tra il 2001 e il 2004 della scrittrice americana, Joyce Carol Oates, edita da Bompiani. Le protagoniste di tutta la racconta che ha un’anima dark, oscura, violenta e ossessiva: sono le donne, le femmine, le madri, le ragazze, e anche le bambine. Ma cosa si nasconde dietro lo sguardo dolce di queste donne? Per parafrasare l’esergo di copertina. Tutte queste donne nascondono qualcosa, o cercano di fuggire da qualcosa che l’ha incastrate in uno spazio temporale che è diventato persecuzione. La violenza e la verbosità con cui il male viene fuori all’improvviso, anche a distanza di molto tempo, di anni, come se l’essere femminile covasse una vendetta al torto subito che pare essere iscritta necessariamente al corredo genetico. Madri, mogli, pazze, assassine, mantidi spietate e senza scrupoli, vedove dell’abbandono e della vendetta, per ripristinare l’ordine delle cose e riprendersi la propria rivincita. Rispetto ad altre raccolte di racconti dell’autrice, penso a Misfatti. Racconti di trasgressione –, a Bestie, Un'educazione sentimentale, Figli randagi, Il collezionista di bambole, sembra che questa raccolta abbia meno presa sul lettore, e che ne esca un’immagine un po’ troppa misogina da parte dell’autrice. «Ora le gabbie non ci sono più. Ora le grida dei conigli le sento nel vento, nella pioggia battente, nel fischio del treno che scivola attraverso il mio sonno. A miglia lontano da casa, le sento; e le sentirò per tutta la vita. Grida di creature imprigionate, creature che hanno sofferto, che sono morte, che ci aspettano fra quelli come noi, all’inferno».
«The Female of the Species» (2005) è una raccolta di 9 racconti scritti dalla Oates tra il 2001 e il 2004 e pubblicati su alcune riviste americane. Le protagoniste sono unicamente donne che nascondono qualcosa o che cercano di fuggire da qualcosa. Il New York Times le ha definite «the proverbial girls next door who double as adulteresses, whores and cold killers» (H. Frey, 22.01.2006), per la tendenza tipicamente oatesiana a non farsi troppi scrupoli nell'esercizio della violenza quando si tratta di ripristinare un ordine perduto oppure di vendicare un torto subito. Chi cercasse pertanto emulsioni del principio femminile dalle pieghe di una società maschilista ossessionata dal denaro o da altre declinazioni della virilità, farebbe meglio a cercarle altrove. Qui la Oates insiste invece sul principio secondo il quale la crudeltà è femmina, quali che ne siano la ragioni. Rispetto ad altre raccolte di racconti come «Bestie» oppure «Misfatti», che sostanzialmente affrontano temi analoghi, a mio parere il risultato è leggermente inferiore. Il racconto migliore lo individuo in «Doll. Storia d'amore sul Mississippi», molto interessante anche per la costruzione sintagmatica del testo.
Nove racconti, nove storie. Donne, ragazze e perfino bambine. Femmine. Femmine assassine, violente, ribelli o desiderose di cambiare la loro vita con il sangue, guidate dalla paura, dalla compassione o dal puro e semplice divertimento. Come la mantide religiosa che divora il maschio quando non le serve più, tutte queste femmine diventano mantidi, diventano Satana. Good people make bad things or bad people make bad things? Non si sa. Buoni e cattivi assoluti non esistono e il male che si insinua in esse può essere rimasto sopito per troppo tempo e risvegliatosi all'improvviso, può essere innato o momentaneo. E'il secondo libro che leggo di quest'autrice, e non credo che ne leggerò altri. C'è da dire che però la Oates ci sa fare con tutte queste cose sanguinolente e macabre, perchè in me hanno suscitato l'effetto probabilmente desiderato: orrore e disgusto. Tutte queste storie, molto surreali e forzate a mio parere, mi hanno veramente impressionata: l'effetto splatter è assicurato e l'intero romanzo è carico di vera emotività, per quanto un po'assurde e paradossali siano le vicende. Peccato che il tutto sia guastato da pessimi difetti stilistici: narrazione letteralmente "attaccata" a monologhi, pensieri e discorsi diretti privi di virgolette che creano un po'di confusione, gesti compiuti a caso dai personaggi senza un'esplicita (e desiderata) motivazione, troppi particolari e dettagli non approfonditi. Alcuni racconti addirittura sembrano favolette scritte lì senza un'apparente ragione, che non c'entrano nulla con il genere a cui il romanzo è associato. Chi vuole qualche bella storia forte, piena di colpi di scena e fuori dall'ordinaria monotonia, se lo legga.
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