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Visionario. Poliedrico. Esuberante. Solo le prime parole che vengono in mente per descrivere la poesia di Vincenzo, il giovane autore che prende la penna come unico sistema per estinguere le "parole eruttanti" dal titolo della raccolta, un subbuglio interiore che non trova spazio di espressione adeguato e così si apre una strada alla ricerca di luoghi da calpestare a piedi scalzi, si imbarca sulla nave dei folli, ricerca la ghirlanda dei colori tra le nuvole, l’alchimia del verbo e dei sentimenti, il sublime slancio che fa rivoltare la terra. In questo caleidoscopio di immagini, sensazioni, sentimenti ci si sente travolti, abbacinati, ma il passo recede per i ricordi di infanzia e il dolceamaro rievocarli con riflessioni di maggiore distacco, tra ironia e senso di colpa: "È un'opera buffa – se ci pensi – la vita. / L’ultimo dei nostri problemi signor giudice / perché non si occupa anche lei / di sofismi infantili / di stelle / e di sogni?" Nel mentre si dipanano, quasi inconscie, citazioni poetiche, musicali, cinematografiche. L'autore strizza l'occhio a Rimbaud e Baudelaire, Battiato e gli Stones, Herzog e Lynch, ma con leggerezza, senza pedanterie da ricercati richiami. A chiudere la silloge interviene una chiusa avanguardista dal sapore cyberpunk, come se infine la domanda su cosa è umano ritrovasse nel XXI secolo la cornice più adatta in questa sorta di Blade Runner in cui tutto ciò che abbiamo sono brandelli di informazioni che si dissolveranno come lacrime nella pioggia. Qui lo scandire del verso cede il passo alla finzione di una trasmissione frammentaria in prosa poetica, senza che l'ispirazione vada persa, anzi. "Siamo le password dimenticate di profili inaccessibili, arlecchini bakuniani, goffi voli a pallida imitazione degli angeli, siamo Pierrot innamorati della Luna, lei che riflette la luce nella notte, siamo le lucciole che vibrano nel tempo, tra le dimensioni, alla ricerca del volto nascosto di Dio".
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