Romanziere e saggista ungherese, nel 2002 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. Di origini ebraiche, nel 1944 subì la deportazione ad Auschwitz e Buchenwald, da cui fu liberato dopo un anno. Per la manifesta avversione al regime comunista, fu licenziato dal quotidiano per il quale lavorava; per sopravvivere si dedicò alla traduzione (Freud, Nietzsche, Canetti, Wittgenstein), iniziando contemporaneamente la stesura del romanzo che lo impegnerà per circa dieci anni: Essere senza destino, in cui narra l’esperienza di un quindicenne deportato ad Auschwitz che, in un’ottica di aberrante alienazione dettata dallo spirito di sopravvivenza, riesce ad adattarsi agli orrori del campo. L’opera, rifiutata per anni dagli editori e pubblicata solo nel 1975, è rimasta ignorata fino alla caduta del Muro. Per K. l’Olocausto non rappresenta uno «scandalo», una macchia sulla coscienza collettiva dell’Occidente, quanto l’esito necessario di un impianto raziocinante votato al male. Questa concezione permea anche le successive prove narrative (Fiasco, 1988; Kaddish per il bambino non nato, 1990; Il vessillo britannico, 1991; Liquidazione, 2003; Dossier K., 2006), e la fitta produzione saggistica (in traduzione italiana parzialmente confluita in Il secolo infelice, 2007).