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"La storia delle donne può essere anche storia istituzionale?", così, vent'anni fa, interrogava i women's studies Mariuccia Salvati ("Rivista di storia contemporanea", 1985, n. 1). Se la storia delle donne ha tendenzialmente privilegiato le prospettive della storia sociale e della soggettività, valorizzando, ma in qualche modo anche codificando, la sfera privata come dimensione specifica dell'esperienza femminile, non è mancata da allora una ripresa d'interesse per la militanza e la rappresentanza politica (in particolare, negli anni novanta, con i contributi di Salvati stessa, Anna Rossi-Doria, Victoria de Grazia). Ne è una conferma la presente raccolta di saggi a più voci che presenta i risultati di una ricerca sulla partecipazione e l'impegno politico delle donne nell'Italia repubblicana, con particolare attenzione proprio alla presenza politico-istituzionale, attraverso lo studio di un caso specifico locale: la realtà torinese nei suoi contorni regionali.
Il volume offre un ricco materiale di riflessione sui percorsi di cittadinanza attiva delle donne in tutti i partiti (dal Pci al Msi) e le principali associazioni presenti sul territorio, entro un largo spettro, dunque, di posizioni ideologiche e sociali, nel quasi mezzo secolo che corre tra le due fratture della Resistenza e della crisi del sistema politico. In gran parte pionieristico il lavoro di ricognizione delle fonti documentarie: gli archivi dei partiti, spesso lacunosi o carenti quando non dispersi, sono poi integrati dai più sistematici atti degli enti locali e dall'intreccio con le testimonianze orali delle protagoniste. L'evoluzione dei modelli femminili attraverso il linguaggio iconico è illustrata da un inserto di manifesti politici che coprono l'intero periodo.
A uno sguardo d'insieme di queste storie di militanza, e al di là delle ovviamente diverse accentuazioni legate alle appartenenze politiche dei vari gruppi di donne - con maggiori o minori priorità assegnate ai diritti sociali, politici o civili, e orientate a visioni più individualistiche o più marcatamente centrate sulla famiglia -, dalla ricerca emergono trasversalmente ai vari partiti alcune significative specificità dell'impegno politico femminile. A partire, se si esclude l'estrema destra, dalle diffuse pratiche di network e di aggregazione aperta che proprio a Torino, dai Gruppi di difesa della donna sorti nella Resistenza all'Intercategoriale donne Cgil-Cisl-Uil negli anni settanta, hanno dato corso a originali esperienze di rapporto dinamico tra culture politiche diverse. Pure entro un campo d'indagine tutto focalizzato sulla sfera pubblica, ambito per eccellenza di competenza maschile, la memoria retrospettiva di gran parte delle donne individua la "differenza" nel continuo bisogno di legittimazione del proprio ruolo e di contrattazione di spazi mai stabilmente acquisiti. Salvo poche donne assurte a posizioni autorevoli e "neutre", comune a tutti i partiti è anche la tendenza a confinare le donne in settori specialistici quasi ascrittivamente vocazionali (scuola, assistenza, politiche sociali), come a istituire al loro interno organismi femminili che nel loro operare sperimentano l'ambivalenza della separatezza, sul doppio versante dell'autonomia e della marginalità.
La storia delle donne nei partiti si dimostra anche un'interessante chiave di ricostruzione della storia dei partiti attraverso le donne. In particolare, incrociando la lettura dei due saggi più "movimentisti", sul femminismo degli anni settanta e sulle donne radicali, con la serie degli altri più "istituzionali", si osserva l'impatto diffuso della nuova soggettività in tutte le culture politiche (fino a manifestarsi in una sorta di neofemminismo di destra nel Msi). E si constata, con l'evidenza dei dati, come siano state proprio le due stagioni delle grandi ondate di militanza femminile, prima nella Resistenza, poi nei nuovi movimenti, a investire e imporre nell'agenda dei partiti, spesso timidi e reticenti, gli obiettivi dei diritti delle donne, oltre ad allargarne l'accesso alle cariche istituzionali.
"Androginizziamo la vita (...) Oggi la storia è per la parificazione dei sessi (...) Diamo anche il voto alle donne" è il curioso appello, datato luglio 1944, a firma "Philogynus", su una rivista liberal-azionista che auspicava il congedo del maschilista don Giovanni da una società liberata dalle discriminazioni fra i sessi. Molta strada è stata fatta, ma l'androginizzazione della vita e tanto più della rappresentanza politica è ancora lontana, se si pensa che a tutt'oggi ammonta al solo 12,7 per cento quella delle donne elette, per restare in Piemonte, nel Consiglio regionale.
Santina Mobiglia
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