L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2018
Promo attive (0)
Non conosceremmo il mondo e la dimensione spirituale del chassidismo senza l'opera editoriale di Martin Buber o forse li conosceremmo solo in un altro modo, quello storico esegetico di Scholem. Al lettore italiano, con il nome di Buber si affacciano quei fascinosi ed emblematici racconti, cifre di un patrimonio culturale europeo al quale, pur nella diversità delle credenze, si ritiene di appartenere.
Buber fu però anche filosofo, teologo, organizzatore culturale e ora possiamo conoscerlo quale pedagogo. Per i tre saggi contenuti nel libro credo sia infatti la definizione di pedagogo la più propria a indicare lo spessore dei temi che affronta e il panorama di riferimento che si intravede.
Anna Aluffi Pentini, oltre a tradurre, introduce riassumendo e fornendo utili indicazioni di lettura. Opportuno è forse staccare dal corpo delle argomentazioni alcuni concetti per collocarli sulla scena della pedagogia e della didattica attuali, tenendo presente che negli ultimi anni i confini tra questi due ambiti non sono più netti e ben tracciati, cosa di cui del resto non c'è da rammaricarsi eccessivamente.
Ai tempi delle tre conferenze, cioè dal '25 al '39, e ognuno ben sa che tempi fossero per la Germania, si usava ancora molto poco la parola didattica e i discorsi sull'educazione affondavano radici e argomenti nella filosofia, la pedagogia era una delle ancelle della filosofia e mancava tutto il corredo di supporto delle discipline vicine che verrà solo nel dopoguerra. Si può così capire quanto interessi a Buber staccarsi dalle concezioni pedagogiche dominanti, soprattutto da quelle idealistiche e nietzschiane, ma anche da quella retorica dell'eros educativo, che erano all'origine di condotte negative e di vera e propria malversazione didattica. E il primo punto da sottolineare a favore di Buber è proprio la trasformazione dell'educatore in insegnante, cioè a dire di un lavoro ben particolare che vuole scoprire e favorire la perspicacia individuale. L'insegnante è una professione che libera in chi apprende "ciò che preme dentro" e, poiché a educare concorrono natura e società, l'insegnante è colui che "seleziona l'influenza del mondo". E partecipa al manifestarsi di ciò che è nascosto. Un'alta figura di insegnante dunque.
Come intesse la sua opera tale insegnante? Dialogando. E questa è l'idea pedagogica oggi più citata di Buber, definita dell'empatia o dell'incontro con il tu, un audi alteram partem che è un ascolto di esistenze, non di ragioni di parte, insieme un interpellare e un rispondere reciproco tra la posizione e il punto di vista dell'insegnamento e quello dell'apprendimento. È la condizione pedagogica fondamentale, non lontana dalle descrizioni che la psicologia relazionale di Palo Alto farà più tardi e che entreranno nella didattica cognitivista del nostro ultimo tempo. Il principio dell'educazione lo chiama Buber.
Nell'importanza data al dialogo, certo, come non avvertire l'eco della discussione e della logica di scavo della discussione talmudica? Ma, pure se così fosse, la trasposizione avrebbe un valore didattico aggiunto, dal momento che essa varrebbe non solo per posizioni paritarie, l'un maestro dirimpetto all'altro, ma nella gerarchia dell'aula scolastica anche per il sopra e il sotto dell'insegnante e dell'allievo. A che cosa mira Buber? All'autonomia dei processi di apprendimento, all'autenticità di vita, e c'è da sottolineare due volte quest'espressione, alla capacità di decisione pensata. Lo scopo dell'educazione sta nel perseguire "in tutti gli individui" quella figura esemplare che sovrasta le altre, il Cristo, il gentiluomo, il cittadino: sempre un principio superiore, la barra timone del carattere e della vita.
Parole simili avevano valore in quegli anni di militarizzazione delle masse, ma non meno valore possono avere ancora oggi, se è vero che le banalità del male colano negli animi per altri rivoli e si fanno crosta con altre azioni.
Fausto Marcone
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore