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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2021
Sul vigore di memorialista di Emilio Lussu (1890-1975) non sussistono dubbi. Non solo per il celeberrimo Un anno sull'Altipiano, il combattivo antifascista sardo è ritenuto uno degli autori più efficaci in un genere di scrittura spesso esposto a indugi sentimentali o compiaciute autogiustificazioni. In questo libro Lussu ricorda dopo che gli eventi si sono svolti (l'edizione originale uscì a Firenze nel 1956) e mette su pagina con impeto episodi e impressioni che hanno acquistato con il tempo i definiti lineamenti di un'acquaforte. E va al sodo, con una forza di penetrazione che nulla concede alle divagazioni. Dà per scontata la conoscenza di molti personaggi rammentati con il solo cognome. Gli interessa piuttosto la trama convulsa dei fatti. Giuseppe Saragat è semplicemente Saragat, Alberto Cianca è Cianca. E le sue memorie si dipanano svelte come un film d'azione dalla scarna sceneggiatura. Il mondo del fuoriuscitismo è ritratto nella ricerca di contatti, grazie ai quali presentare un'immagine dell'Italia vera. Da Marsiglia a Lisbona, da Londra a New York, le missioni di Lussu, svolte sempre d'intesa con Joyce, straordinaria compagna di una vita, mirano a connettere l'azione nel presente con la tradizione risorgimentale e con il respiro europeo che aveva avuto: "Noi due tentavamo scrive del lavoro politico condotto in Portogallo , sempre da francesi, di sostenere che il Governo non è il popolo e non è la nazione, che Pétain non era la Francia, che Mussolini non era l'Italia". E aggiunge: "Rievocavamo anche Mazzini, Garibaldi, e Cavour; erano parole vane". L'amarezza di non potersi dire apertamente italiani dà alla condizione di clandestino una doppia angoscia. Ce n'è abbastanza per chi voglia capire davvero per quali fili il senso della patria sia sopravvissuto e con sofferenza coltivato.
Roberto Barzanti
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