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Quest’opera si presenta come la più compiuta di Severino, come una summa del suo pensiero, che qui riprende, in un linguaggio molto diverso ma con puntuali corrispondenze, il vasto disegno della Struttura originaria (1958) e di Essenza del nichilismo (1972). L’indagine di Severino ha come primo oggetto il nichilismo. Con questa parola, da Nietzsche a Heidegger, si è spesso inteso designare quella peculiare macchina di concetti e opposizioni – macchina distruttrice e autodistruttrice, e al tempo stesso produttrice di potenza –, all’interno della quale si è mosso tutto il pensiero occidentale. Severino non solo sottrae questo termine a ogni vaghezza e allusività, ma gli conferisce un senso radicalmente diverso mostrando come la persuasione che l’ente sia niente sia necessariamente legata alla fede nel divenire e nella storicità del mondo. Caratteristico del nichilismo è di presentarsi, infatti, sempre di nuovo sotto altre forme, celando il suo fondamento: così, se davvero, come Severino afferma, il nichilismo è il «contenuto essenziale della storia dell’Occidente», e insieme «l’inconscio della preistoria dell’Occidente», per seguirne le metamorfosi occorrerà analizzare tutta la vicenda dell’Occidente, in cui noi stessi siamo immersi, sino a rendere evidente, nei suoi vari passaggi, la trama celata. Una tale analisi non può fermarsi all’articolazione dei testi classici della filosofia. Prima ancora, è nell’articolarsi del lessico stesso del pensiero greco che si può osservare la genesi del processo nichilistico: ad essa Severino dedica una lunga, audace sezione di quest’opera, individuando un primo scindersi del lessico, nelle lingue indoeuropee, fra «timbro della flessione» e «timbro dell’inflessibile». E, d’altra parte, il processo nichilistico si prolunga in tutta la «struttura dell’azione» in quanto «struttura del dominio», quale è stata «formulata una volta per tutte da Aristotele», per essere poi ripresa in varianti innumerevoli nel corso dei secoli. Il quadro, dunque, che Severino qui ci offre è una grandiosa immagine globale di ciò che è stato, e di ciò che è, quell’oscuro fenomeno designato come pensiero occidentale, pensiero alla cui base c’è una decisione di separarsi dal Tutto per meglio dominare il mondo. Severino però non intende solo ricostruire ciò che l’Occidente ha pensato, ma altrettanto ciò che ha dovuto espungere dal suo pensiero e dalle sue opere e che rimane ancora di fronte a noi nella sua enigmatica estraneità. «L’Occidente ... è uno dei due corsieri che guidano e trascinano in direzioni contrastanti l’accadimento della terra: è il corsiero “visibile”, cioè testimoniato, e “visibile” è il sentiero che esso percorre», guidato da una «volontà di potenza» che si svela alla fine «essenzialmente impotente», l’altro corsiero – invisibile – è guidato da una «volontà del destino» che in queste pagine è testimoniata.
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Il nichilismo ormai da lungo tempo pervade l’Occidente, già implicito in quella episteme greca che pur di salvare il divenire degli enti li pone oscillanti tra l’essere e il niente, assumendo un ente, non in quanto ente, ma per il suo carattere contraddistinto come immutabile, quale principio di tutte le cose, sia esso l’Idea di Platone o il Motore immobile di Aristotele. Tale episteme dice che l’ente è quando è ma che non è quando non è nel principio "firmissimo", ma ciò vuole dire, nell’inconscio dell’Occidente, che l’ente non è. Sono ormai I tratti di un'episteme che se da un lato vuole salvare l’ente dal niente, dall’altra lo lascia in balia del niente. A nulla valgono gli immutabili, ogni episteme che si sussegue, dalla creazione dal nulla del Dio ebraico cristiano al razionalismo e l’empirismo moderno, fino all’idealismo e ancor più il marxismo. Tutto poggia sul evidenza del divenire come passaggio dell’ente dall’essere al niente e viceversa. L’episteme dell’Occidente si rovescia contro se stessa aprendo ormai i margini a quell’incontenibile volontà di potenza che produce e distrugge l’ente nel dominio tecnico scientifico planetario sotto gli occhi di tutti. Eppure tutto ciò che è terra isolata, alienazione della verità, appare nello stesso cerchio intramontabile della necessità del destino della verità, e di questa verità occorre, nella filosofia, farsi testimoni nella terra isolata in attesa che il nichilismo stesso tramonti nell’eterno apparire dell’essere, in cui tutto, da sempre, è eterno nella gioia dell’essere. L'opera, relativamente più chiara a quelle precedenti correggendone alcuni aspetti, si propone di essere un meditato manifesto del pensiero al bivio tra il sentiero della notte e quello del giorno, ma negli ultimi capitoli (in cui vengono coinvolti gli strati inconsci dell'Occidente, il rapporto tra terra isolata e verità dell'essere, il linguaggio alienato e della testimonianza), molti i nodi da chiarire, rimodulati nelle opere successive.
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Una delle opere piu' importanti di Severino. Qui vengono ad unirsi oltre alla profondita' e al rigore delle analisi anche la chiarezza e la bellezza dell'esposizione. Quest'opera (uscita nel 1980) rappresenta il vero e proprio spartiacque all'interno dell'itinerario filosofico di Severino, avvenuto quindi dopo "Essenda del nichilimo" (1972). Bisonga pero' subito aggiungere come la continuita' con le opere precedenti (soprattutto: "La struttura originaria", 1958 - "Studi di filosofia della prassi", 1962 ed "Essenza del nichilismo") e' evidente (cosa ribadita da Severino stesso nella Prefazione dell'opera), e quest'opera venga quindi a presentarsi come un'estrema 'rigorizzazione' delle opere precedenti (per altro non ancora 'completa'). I tre punti che forse possono essere indicati come il 'cuore' di questa grande opera sono: la completa eliminazione della 'contingenza' (e per riflesso della 'liberta'') all'interno dell'orizzonte teorico di Severino; il secondo elemento fondamentale e' rappresentato dalla denuncia del carattere 'alienato' dell'agire, e si badi: dell'agire in quanto agire (indagato in particolar modo in Aristotele); mentre il terzo punto fondamentale e' il rapporto sussistente tra il destino e la testimonianza del destino (il linguaggio). Inoltre tre (VIII-X) dei sedici capitoli sono dedicati ad uno studio delle radici delle lingue idoeuropee come 'rispecchiamanto della struttura formale dell'azione'. A mio parere insieme a "La struttura originaria" questa e' la piu' importante opera si Severino. (Si consiglia, per avere un'ottima comprensione di quest'opera, di aver letto almeno "Essenza del nichilimo").
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