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Anno edizione: 2004
Anno edizione: 2006
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Avevo comprato questo libro con molto entusiasmo, mi avevano ispirato soprattuto i personaggi e la storia riassunti sul retro. Non mi è piaciuto e non lo consiglio.
Forse sarò l'unico, ma ho trovato il libro eccezzionale. Soprattutto dalla metà in poi ci ho preso mano e l'ho divorato. Arrivato all'ultima riga mi è passato per un attimo tutto l'intreccio, rivivendolo con nostalgia.
Uno di quei libri per i quali i momenti migliori si vivono leggendo le presentazioni contenute nella copertina posteriore. Ad ognuno è data una seconda prova, ma non credo che la darò a Crepet.
Recensioni
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L'amore qui si vive solo da lontano. Da una distanza incolmabile che separa, e fatalmente, le vite di quattro generazioni di donne. Paolo Crepet, psichiatra di fama, anche televisiva, aveva già messo in scena il confronto tra due destini in La ragione dei sentimenti. Racconto (Einaudi, 2002), ora l'intreccio si fa ancora più rarefatto e allargato. Il centro però non cambia - del resto è lo stesso anche nelle indagini di natura saggistica -, riguarda la non comunicabilità tra esseri umani. Siano giovani, vecchi, figli e genitori, l'umanità sembra essere assediata da una totale, quasi astratta, mancanza d'amore.
A cominciare da Rada, di origine bosniaca emigrata in Grecia, capostipite di una famiglia che si compone di sole donne, tranne il nonno Selim che si propone come modello di dandysmo orientale, a cui è stata sottratta la nascita: "Se a una persona è sottratta la nascita, la vita si presenta senza verità, e la verità è senso di appartenenza". Coloro che le seguiranno, Colette, Cleo, infine Mirò, sono segnate tutte da questo originario vuoto, da questa epica assenza. Sono donne bellissime, eleganti e forti, seducenti e mute che invano cercano l'approdo dove pacificare la loro sete d'amore, costrette a un'"inagibile" indifferenza. Sono anche coraggiose viaggiatrici, esotiche creature prodotto di molteplici etnie, sirene crudeli soprattutto con loro stesse. Hanno un fallimento alle spalle, professionale o matrimoniale, non sanno stare dentro un ruolo o gli aderiscono troppo. Senza radici, non sanno nidificare. Non sono madri, né figlie, né amanti. Cosa può salvarle da questa spirale di freddezza? Quale meccanismo è in grado di antropomorfizzare questi personaggi da fiaba?
La fiaba appunto. Crepet infatti è quel tipo di raccontatore di storie che proprio nel raccontare trova la sua misura e il senso ultimo del suo mestiere di psichiatra. Storie che via via, orami al terzo romanzo, hanno assunto la forma delle fiaba. Dietro alle sue donne sentiamo la presenza di una tradizione - molto legata all'oralità - così interiorizzata da farle scomparire. Come nelle fiabe, non come nella vita. Che ha bisogno di filtri (di terapie?) per essere accettata nel suo nocciolo di dolore, di non amore, di rarefazione sentimentale. Crepet usa la lingua come un'alleata: (a proposito di una sorella di Cleo) "Senza pensieri, senza emozioni, senza numeri, senza nulla d'astratto se non le ore passate a guardare un mare grigio che spuma ritmicamente sulle rocce verdi di muschio. Un nuvola lattea ferma alla luce del tramonto".
Le immobili statue di Paolo Crepet poste davanti al ritmo marino ricordano da vicino quella della Sirenetta, nelle forme in cui il mito fu ripreso da H. C. Andersen. Con quel in più di divino che impedisce loro di camminare sulla terra, e di amare. Come il loro creatore, sempre più saggio e antico, da rimettere in scena ciò che tutti sappiamo: nel mondo non c'è amore, possiamo solo raccontarne la scomparsa. Un'idea assai collaudata.
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