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Dall'ordine alla vita. Mutamenti del bello nel platonismo antico - Chiara Guidelli - copertina
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Dall'ordine alla vita. Mutamenti del bello nel platonismo antico - Chiara Guidelli - copertina

Descrizione


La riflessione sul bello espressa dal platonismo nel corso delle sue lunghe e complesse vicende rappresenta sicuramente un capitolo fondamentale della storia di questa nozione nel mondo antico. Da Platone e Plotino, tale riflessione si snoda lungo un percorso che pu? essere definito dall’ordine alla vita. Inizialmente, in Platone, il bello è armonia delle parti, e in questa accezione collega tra loro diversi ambiti, della natura come delle arti umane. In un secondo momento, sempre in Platone, esso assume un nuovo significato come espressione, più o meno esplicita, dell’essere di natura ideale genericamente inteso. Con tale significato la nozione del bello sopravvive nel platonismo successivo, fino ad avere una nuova, significativa reinterpretazione ad opera di Plotino: nel sistema plotiniano il bello coincide con evidenza con il valore dell’intera realtà ideale; d’altronde rappresenta anche la traccia dell’Uno, cio? del principio di un’energeia indeterminata che solo successivamente si autodetemina nelle forme della realtà ideale. Come riflesso di un simile principio, il bello assume un volto sconosciuto a Platone, il volto mobile del vivente; il suo fascino, che ha dell’ineffabile, si sostituisce alla chiarezza della semplice idea platonica, decretando così la fine di un modello estetico durato per secoli.

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Dettagli

1999
1 gennaio 1999
216 p.
9788849112573

Voce della critica


recensioni di Bettetini, M. L'Indice del 2000, n. 07

Le concezioni del bello nel pensiero antico non godono di grande fortuna tra gli uomini colti contemporanei, che facilmente si accontentano delle tradizionali storie dell'estetica o di qualche citazione dall'abusato Simposio platonico. Per questo v'è da essere grati a Chiara Guidelli che con chiarezza e linearità conduce delicatamente ad affrontare pagine altrimenti complesse, certo poco intelligibili a non esperti. Platone, il confuso periodo del medio e neo-platonismo, Plotino hanno espresso un pensiero sul bello che a torto si potrebbe considerare omogeneo e privo di elementi innovativi. L'influenza aristotelica e la contrapposizione al materialismo stoico hanno reso infatti la dottrina di Plotino qualcosa di diverso rispetto ad una semplice ripresa, se pur in chiave neoplatonica, delle pagine del Filebo, della Repubblica, del Simposio, dell'Ippia Maggiore. I dialoghi di Platone infatti presentano una chiara linea di pensiero: bello è misura e proporzione; bello è il bene che si rende visibile; bello in senso pieno è solo l'intelligibile. I corpi belli, i pensieri belli, le leggi giuste e pertanto belle, sono soltanto gradini, sempre più ricchi di misura e proporzione, sempre più poveri di molteplicità e materia, che conducono all'idea del bello. La via erotica (ove Eros è il demone figlio di Povertà ed Espediente, privo di tutto e capace di ottenere ogni cosa, desiderio intelligente) che conclude il Simposio è aperta ai pochi in grado di elevarsi dal sensibile all'intelligibile e di contemplare con gli occhi della mente l'idea del bene, bella e fonte di ogni bellezza, semplice pertanto proporzionata e misurata fino all'estremo dell'unità.
Ora, i trattati di Plotino sul bello, e i numerosi altri passi sull'argomento di cui sono costellate le Enneadi, in parte riprendono quasi alla lettera il dettato platonico, ma in parte lo trasformano profondamente, come ben mostra Guidelli, anche se forse non ne decretano la consumazione, come pure sostiene Guidelli.
In poche parole: la materia di Plotino è una materia "cattiva", "brutta", principio del male; ma è anche l'ultima propaggine della processione che dall'Uno produce il Nous e poi l'Anima. E le realtà materiali non sono solo platoniche ombre degli intelligibili contenuti nel Nous, ma forme che si uniscono alla materia dando così vita alla "forma nel corpo", che è di grado inferiore, ma è pur sempre eidos, se pur eidos visibile. Le "cose" sono dunque belle, di bellezza acquisita, ma non solo riflessa. Il "sinolo" aristotelico ha in sé il suo essere, la sua forma, la sua bellezza, e Plotino non è sordo alla lezione dello Stagirita. Non può invece accettare la definizione stoica di bello come proporzione delle parti unita alla gradevolezza del colore. E certo: come dire allora bello un pensiero, una virtù, ma anche un volto, bello da vivo e brutto da morto, che pur mantiene le medesime proporzioni? E come poter parlare del vero bello, l'intelligibile, e della fonte di ogni bellezza, quell'Uno che è oltre ogni bello? Interessantissima qui la posizione di Plotino soprattutto per i risvolti storiografici successivi: sarà la definizione stoica, e non quella plotiniana, a essere raccolta dai medievali.
La bellezza è dunque, per Plotino, la luce della semplicità che permette a tutte le realtà, anche quelle materiali, di brillare di luce propria: l'universo che vive è "immagine visibile e bella degli dei intelligibili" (Enn. II 9, 8, 16), e proprio la vita consente questa partecipazione insieme platonica e aristotelica del bello. Come un carillon cui si girasse la chiavetta, i mondi separati di Platone nell'universo vivente di Plotino acquistano vita e sono tra loro connessi grazie alla vita, fino a fare della contemplazione del bello in sé non più solo un atto dell'intelletto, sublime ma astratto, quanto piuttosto un mistico lasciarsi prendere e illuminare da ciò che non è bello, perché oltre ogni bellezza, ma di ogni bellezza è fonte.

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