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Aksakov scoprì tardi la sua vera vena di scrittore, e quasi per istigazione di amici (amici che si chiamavano, fra gli altri, Gogol’ e Turgenev) giunse a pubblicare, nel 1856, questa Cronaca di famiglia, che fu salutata con entusiasmi paragonabili a quelli che aveva suscitato Le anime morte. Non sembrava crederci molto egli stesso: soprattutto, si sentiva incapace di «inventare». Ma il suo segreto era un altro, il segreto russo per eccellenza: tutto ciò che racconta la sua «cronaca di famiglia» immediatamente esiste, come una roccia fra l’erba, con la stessa nettezza di profili e superfici, con la stessa evidenza, come fosse lì da sempre. Aksakov non vuole, non può essere altro che un «imparziale narratore di racconti tramandatisi oralmente»: storie di suoi parenti, filtrate dal racconto di altri parenti, servitori, amici; storie del governatorato di Ufa, nella profonda provincia russa, verso la fine del Settecento. Qui la civiltà che viene da Occidente non si è curata di lasciare altro che labili tracce. E la piccola città è circondata dalla steppa, dove ancora cavalcano i nomadi baškiri e mordvini, a cui alcuni isolati possidenti russi sottraggono, con rudimentali astuzie, sterminati terreni. Uno di quei possidenti è Stepan Michajlovic Bagrov: un uomo di antica nobiltà, incolto, massiccio, traboccante di delicatezze e di furie, che «senza sbagliarsi intuiva il male e senza sbagliarsi era attratto dal bene». Fin dal suo apparire, sentiamo di trovarci di fronte a una di quelle immense figure che segnano i primordi del romanzo russo. Dalla sua casa, dalla sua campagna, dalla sua famiglia si dipartiranno altre figure e altre storie, fino alla nascita di un primo nipote, che è l’autore stesso. Sono vicende dove incontriamo il mostruoso e il tenero, il ridicolo e il perfido, il dolce e il crudele in situazioni e ritratti che sembrano contenere in potenza gran parte di quel che poi sprigionerà il romanzo russo, mentre la discendenza più diretta della Cronaca di famiglia si riconosce in Turgenev e nel Tolstoj di Infanzia e Adolescenza.
Ma ciò che qui si rivela essenziale è innanzitutto il procedere della «cronaca» come un fiume nella steppa, largo, trasparente, con improvvisi vortici e mulinelli, con gore, giunchi e rigagnoli laterali. Il grandioso personaggio del nonno, Stepan Michajlovic, si trasforma a poco a poco da oggetto in soggetto del narrare: perché sempre più, leggendo, lo sovrapponiamo ad Aksakov stesso, anziano possidente ritirato nella sua campagna, amato patriarca semicieco che ricorda – e pensa che i suoi ricordi abbiano un qualche valore solo perché aveva «vissuto una vita intera» e «conservato calore e vitalità». Era un «calore» che gli permetteva di abbracciare la vita senza escluderne niente, neppure il «ronzio da soprano» delle zanzare: «in esse sento l’estate afosa, le splendide notti insonni, le rive del Buguruslan coperte di verdi cespugli, dove da ogni parte si levavano canti d’usignoli; ricordo i palpiti del giovane cuore e la dolce, vaga tristezza, per cui ora darei tutto quel che resta della mia vita che si sta spegnendo».
(scheda pubblicata per l'edizione del 1984)
scheda di Viacava, A., L'Indice 1984, n. 2
Nuova edizione di un vecchio libro uscito nel 1946 per i tipi di Fausto Capriotti con il titolo di "Nuovo Bagrovo e le sue donne", questo romanzo fu scritto nel 1856 dal pacato Arsakov ormai sessantacinquenne con ritmo lento e quieto, e fu accolto con lodi entusiastiche pur essendo totalmente anomalo per l'età e lo stile dell'autore, in quegli anni di realismo russo e di irruenti precocità letterarie.
È la storia del mitico nonno Stepan Michajlovic, e del suo trasferimento, "stretto negli aviti possedimenti", con famiglia, servi, masserizie, animali, in terre baskire, della fondazione di un nuovo villaggio in luoghi "mai sfiorati dalla falce n‚ dall'aratro, con una fresca e salubre acqua corrente che sgorgava da una moltitudine di polle e sorgenti", luoghi di pesci, uccelli, cavalli, vacche e animali di ogni genere, "luoghi incantevoli" per il padrone severo e irascibile ma giusto e buono, selvaggi e odiosi per la "superba bellezza cittadina" che diventò sua nuora e madre dell'autore.
È anche la storia dell'incontro di una famiglia di antica nobiltà contadina con un'intellettuale di città, le incomprensioni e i rancori che avvelenano i rapporti, l'invidia delle donne della famiglia per l'affetto che il vecchio patriarca nutre per questa forestiera che lo ama con rispetto devoto, ma non gli si sottomette. Un libro in cui tutto ciò che è descritto è concreto e reale, il cui lettore ha la sensazione di assistere a ciò che accade, di conoscere personalmente il protagonista che sempre più si confonde con l'io narrante, di condividerne questa vita intera che ha vissuto conservando calore e vitalità.
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