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Cose che non si raccontano - Antonella Lattanzi - copertina
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Cose che non si raccontano

Descrizione

Libro incluso tra i dodici candidati al Premio Strega 2024
Libro vincitore del Premio Wondy per la letteratura resiliente 2024 - Giuria tecnica

Presentato da Valeria Parrella nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2024
Libro finalista del Premio Mastercard Letteratura 2023
Ci sono cose che non si raccontano perché le parole sono scogli nel mare. Ci sono cose che non si raccontano per vergogna, rabbia, troppo dolore, e perché se non le racconti, in fondo puoi sempre credere che non siano successe. Antonella e Andrea vogliono un figlio: adesso lo vogliono proprio, lo vogliono assolutamente. Ma è come se non ci fosse niente di semplice, nel desiderio più naturale del mondo: tutto ciò che può andare storto andrà storto, anche l’inimmaginabile.

Antonella Lattanzi ha trovato parole esatte per questa storia, che è sua e di tutte le donne – ambiziose, indecise, testarde, libere di scegliere. Un libro emozionante, che non si riesce a smettere di leggere, straordinariamente contemporaneo.

«Questo libro mi ha toccato nel profondo. La letteratura è un’arte magica, e Antonella Lattanzi ha scritto un romanzo che è una benedizione, una maledizione, una catarsi» - Nicola Lagioia


Non è mai il momento giusto per fare un figlio. Prima vogliamo vivere, viaggiare, lavorare. Antonella vuole diventare una scrittrice: la sua è un’ambizione assoluta, senza scampo. Per questo a vent’anni, per due volte, interrompe volontariamente la gravidanza. Quando anni dopo si sente invece pronta, con un compagno a fianco, è il suo fisico a non esserlo. E così inizia l’iter brutale dell’ostinazione, dell’ossessione, della medicalizzazione. Certi supplizi, le aspirazioni inconfessate, la felicità effimera e spavalda, la sofferenza e la collera. Si direbbe una storia già scritta, ma qui non c’è nulla di consueto: è come raccontare da dentro una valanga, con la capacità incredibile, rotolando, di guardarsi e non crederci, e sfidarsi, condannarsi, sorridersi per farsi coraggio. In un crescendo di indicibile potenza narrativa, Antonella Lattanzi descrive (sulla sua pelle) la forza inesorabile di un desiderio che non si ferma davanti a niente, ma anche i sensi di colpa, l’insensibilità di alcuni medici, l’amicizia che sa sostenere i silenzi e le confidenze più atroci, il rapporto di coppia sempre sul punto di andare in frantumi, la rabbia ferocissima verso il mondo (e le donne incinte). Tenendo il lettore stretto accanto a sé, incollato alla pagina, con un uso magistrale del montaggio, capace di creare una suspense da thriller. La cosa strabiliante è che pur raccontando una storia eccezionale, e cruda, questo romanzo riesce in realtà a parlare in modo vero, e profondamente attuale, di tutte le donne – madri e non madri – che in un punto diverso della loro vita si sono chieste: desidero un figlio? qual è il momento giusto? dovrò rinunciare a me stessa, alle mie ambizioni? e perché tutte restano incinte e io no?

«Ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono».

Proposto da Valeria Parrella al Premio Strega 2024 con la seguente motivazione:
«Credo che l'anno trascorso sia stato ricco di bei libri, eppure io non ho dubbi, per una volta, su quello che secondo me ha meglio rappresentato la nostra letteratura ed è il romanzo di Antonella Lattanzi "Cose che non si raccontano" edito da Einaudi. È un romanzo rappresentativo di un momento privato che però sa raccontare di quanto esso sia condizionato dallo sguardo altrui, di quanto, cioè, non una società qualunque ma proprio la nostra, quella italiana degli anni 2020, quella post pandemica, possa essere giudicante e richiestiva davanti alla materia più complessa e preziosa dell'esistenza: il corpo delle donne. "Cose che non si raccontano" è un romanzo sul desiderio, anzi su due desideri da cui questo corpo delle donne molto spesso viene straziato: il desiderio di autoaffermazione, di ambizione, di realizzazione lavorativa che si scontra inesorabilmente contro un altro desiderio totalizzante: la maternità. Quando è troppo tardi per provare a fare un figlio? Vi è inoltre, secondo me, il superamento dell'ormai abusata tecnica dell'autofiction, con un felice ritorno all' autobiografia dichiarata, pura: quella, per intenderci, che viene da Natalia Ginzburg e dai più riusciti racconti di Anna Maria Ortese. Per tutti questi motivi e, non ultimo, perché credo che Antonella sia arrivata a una maturità formale compiuta, vorrei avere l'onore di presentarlo al Premio e agli Amici della domenica.»

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Dettagli

2023
14 marzo 2023
216 p., Rilegato
9788806259457

Valutazioni e recensioni

3,88/5
Recensioni: 4/5
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Scarlett
Recensioni: 3/5

Il libro merita attenzione e rispetto per la vicenda umana vissuta in prima persona dall’autrice. Lo stile è diretto, una lingua parlata informale. Non vi sono grandi espedienti narrativi , ma se l’argomento interessa si legge tutto d’un fiato ed è impossibile non empatizzare con l’autrice/protagonista.

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Siamosolostorie
Recensioni: 1/5
Noioso

È uno sfogo ripetitivo, ridondante di una persona che non ottiene quello che vuole, quando lo vuole e come lo vuole. Si parla di figli non delle tende di casa. Non assomiglia lontanamente ad un Libro. Abbandonato, non lo finirò.

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Roberta
Recensioni: 5/5

Una lettura terminata in poche ore, che mi ha fatto piangere, che mi ha fatto pensare: 'ok, fermati. Hai capito cosa è successo?' Forte, prepotente, vero, spontaneo. Antonella Lattanzi riesce ad arrivare sotto la pelle, dentro al cuore e fa esplodere il cervello perché mentre si legge, si pensa, ci si immedesima, ma si capisce anche che solo chi c'è passato può capire.

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Recensioni

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Voce della critica

“Perché piangi leggendo questo libro, cos’ha di così speciale?”

Cercherò di spiegartelo. Non si tratta di uno dei tanti libri che attendono di essere letti, che ti stufa dopo poco, che non ti arriva al cuore, con un colpo secco o che  a malapena ti sfiora. La storia che la narratrice racconta, la sua, è ben altro, è così forte da fuoriuscire dalle pagine, da appigliarsi alla tua sensibilità, frantumandola, senza neppure chiedere il permesso. Ad ogni capitolo il suo dolore si fa sempre più vicino, talvolta soffice, talvolta brutale. Ho immaginato di viverlo sulla mia stessa pelle, di avere anche io lo stesso destino, di non saperci convivere; è questo il potere del libro: ti contagia con la sua sofferenza, portandola dentro di te, lasciandoti il compito di accoglierla. La narratrice ti consente di visitare i suoi sensi di colpa, di rivederti in essi, di comprendere il suo sentirsi parte di ciò che le ha portato via il sogno, naturale, di essere madre, la convinzione di meritare tutto ciò che le sta accadendo. Ciò che hai di fronte non è più un semplice libro, è una donna e ciò che le è stato tolto. Una donna che ha perso i suoi figli, che soffre per non averli protetti, per aver dato precedenza alla carriera; si sforza di non pensare a quali sarebbero stati i loro nomi, alla loro età attuale, alle accortezze che la gravidanza richiedeva, alla sua paura di non essere una brava mamma, ai doveri  più difficili, quelli a cui non pensa perché significherebbe accettare la realtà. Quelle bambine non ci sono più. Le sue parole, la speranza che ha saputo essere spietata, la sincerità che si impone di mantenere nella scrittura, ti fanno credere di essere al suo fianco, come se la stessi ascoltando, mentre apre quelle porte chiuse da tempo. Così, ad un certo punto, ti ritieni capace di arrivare, tramite la lettura, direttamente a lei, di poterle asciugare una lacrima, come fossi un’amica. Ha attorno solo silenzio, prova rabbia, vorrebbe parlarne, mentre,  a farle compagnia in quel dolore, è soltanto il sangue che esce dal suo corpo, imperterrito, e il tentativo di misurarne la quantità. E così, quando per paura di non essere capita, preferisce chiudersi in sé stessa, quello che ne rimane è la solitudine.

So bene cosa significhi avere mille cose da dire, lì sulla punta della lingua, contente di poter essere accolte, per poi essere soffocate. Farebbe troppo male ricevere silenzio.

Ora, dimmi, hai capito perché?

Recensione vincitrice a cura di Federica Pitone nell'ambito del Premio BPER per la migliore recensione letta in occasione del Premio Strega Giovani

 

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Una gravidanza, una relazione, una vita, un libro.


Tutte cose che, in teoria, una donna di quasi quarant’anni dovrebbe volere.


Tutte queste cose un po’ si assomigliano: scrivere un libro è un po’ come fare un figlio che è un po’ come avere una relazione che è un po’ come vivere una vita.


Scritte sulla pagina sono parole astratte, lineari, che sembra non abbiano nulla a che vedere con la vita vera, con l’alzarsi presto la mattina, l’allattare durante la notte, con il corpo che cambia, si trasforma, diventa irriconoscibile, l’altro che diventa l’unica via di fuga ma anche causa di dolore, di litigi.


Nel tempo, mi è capitato spesso di ragionare sui desideri, in generale cosa significhi averne e, in particolare, cosa significhi desiderare una famiglia, dei figli, una vita domestica e cosa invece voglia dire il contrario, non volerne, di figli, scegliere un altro tipo di vita.


Quando si parla di desideri, soprattutto di desideri di donne, sembra di parlare di qualcosa di irrevocabile, solido: vuoi una cosa o non la vuoi. Vuoi essere mamma o non lo vuoi. Vuoi concentrarti sulla tua carriera oppure vuoi una famiglia: non c’è spazio per dubbi o esitazioni.


La protagonista di Cose che non si raccontano non è tanto un personaggio, quanto una persona, e come tale è divorata dai dubbi. Lattanzi sceglie di raccontare il suo percorso, estremamente doloroso perché estremamente reale, della scelta di essere madre prima e delle realtà spaventose della fecondazione assistita.


Dico “sceglie” perché come ribadisce più volte durante il romanzo, raccontare è una scelta, anche se delle volte l’unica possibile. Pagina dopo pagina, parola dopo parola, lei si promette e ci promette di essere sincera, e quindi lo è fino allo sfinimento, finché non ci ha raccontato tutto, anche le cose che non si raccontano: una gravidanza che non è fonte di felicità, o perlomeno non solo, è una parte della vita e come tutte le parti della vita è complessa, inarrivabile, dolorosa, incredibile.


Una relazione che non è solo fonte di conforto ma una relazione vera, quindi tenera, a tratti terribile, astiosa, piena di silenzi e amore.


E, infine, una vita che non è solo raccontata, o da raccontare, ma è una vita vissuta, e quindi in quanto tale, spaventosa, e dolcissima.


Dopo averlo finito, ho avuto voglia di prendere il telefono e ringraziare Antonella Lattanzi, anche se non la conosco, per aver trasformato in letteratura la sua vita, anche nelle sfaccettature più scabrose, e per aver raccontato quella paura che – quasi – nessuno racconta mai: quella che i nostri desideri, giusti o sbagliati che siano, un giorno diventino reali.


Recensione a cura di Paola De Pasquale

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Conosci l'autore

Antonella Lattanzi

1979, Bari

Antonella Lattanzi è nata a Bari nel 1979. Vive a Roma. Devozione (Einaudi Stile libero, 2010) è il suo primo romanzo, seguito da Prima che tu mi tradisca (entrambi per Einaudi). Ha collaborato al programma Tv Le invasioni barbariche, mentre per il cinema ha scritto le sceneggiature di Fiore (di Claudio Giovannesi). Per Mondadori è autrice di Una storia nera (2017). Tra gli altri titoli, Questo giorno che incombe (Harper Collins, 2021), Cose che non si raccontano (Einaudi, 2023), incluso nella dozzina finalista del Premio Strega 2024.

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